Lo stereotipo della madre perfetta: retaggi del patriarcato a cura di Emma Fenu

8 Giugno 2022
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Lo stereotipo della madre perfetta: retaggi del patriarcato
a cura di Emma Fenu

La maternità è uno dei sassi che gravano sullo zaino definito “carico mentale” di cui ho già scritto su questa rivista, riflettendo sul ruolo delle donne durante una pandemia che ci pareva più circoscritta.

Ma se lo stato attuale tira via coperte e tende che celavano verità intuite, ora, nudi di certezze, forse siamo più consapevoli, o più pronti ad esserlo, della pericolosità del modello di perfezione. Il modello non risparmia nessuno, ma, in questa sede, ci concentreremo sulle donne e sulle pressioni che la società esercita.

Suona la sveglia ed è ancora buio. E non vale solo per chi vive l’inverno danese, vale per le donne lavoratrici, madri e mogli che non hanno tempo di dormire a lungo: devono svegliare i bambini, dare loro la colazione e prepararli. Se il papà c’è, collabora: questo è il termine usato per indicare una visione, anche questa stereotipata, del modello di padre che in famiglia dà una mano per gentilezza, perché il suo vero lavoro inizia oltre la porta di casa.

Torniamo alla donna: ormai non è più in pigiama, si è lavata, piastrata i capelli, controllata la ricrescita e con l’abilità di un chirurgo traccia una linea di eyeliner sulla rima superiore delle palpebre mentre risponde a un vocale, o a dieci, di whatsapp. Oggi è il compleanno di un compagno di classe e tutte le mamme hanno un’idea sul regalo da comprare in gruppo.

Infilate le decolleté con il tacco, è pronta per la sfida: legare i figli nel seggiolino dell’auto, guidare verso la scuola primaria, per accompagnare il più grande, e verso la materna, per il secondogenito, sperando di non confondersi.

Poi un paio di ore di traffico e, finalmente, raggiunge il posto di lavoro dove è pagata meno rispetto ai suoi colleghi maschi che svolgono le medesime mansioni, dove ha dovuto aspettare il suo turno per figliare, perché nella sua azienda non sono previste integrazioni del personale per coprire una maternità, dove le è richiesto di essere eccellente per meritare la definizione di brava.

Dove il suo aspetto fisico, senza addentrarci nel campo della violenza, è messo in discussione. “È arrivata la nuova vice. È una bella donna!”: quante volte abbiamo sentito questo commento all’apparenza innocuo? Ma per un collega uomo si fanno apprezzamenti su aspetti connessi al lavoro e si disquisisce della sua avvenenza solo in seguito, nel caso questa dote fosse oltre la media.

Mi fermo qui con questa storia: non voglio generalizzare. Ma ho raccontato vite di persone che conosco, come donna e come counselor, e che sono tante e esistono.

Donne vessate dal modello di perfezione per cui devono essere belle ma non volgari; performanti sul lavoro ma in grado di preparare una torta per i bambini e fare con loro i compiti; eternamente giovani, perché un vecchio è saggio, una vecchia rischia di scivolare nel ridicolo.

E se sono malate di depressione post partum, trovano raramente la forza di ammetterlo e chiedere aiuto: le madri, si sa, sono perfettamente felici. Hanno figli perfetti, che sono il senso della loro vita perfetta, arredano case perfette, scelgono scuole perfette, dormono sonni perfetti.
Non è vero. Troviamo il coraggio di dirlo: la maternità è un dono complesso in cui gioia e dolore si fondono, in cui si ha fra le mani la vita e la morte di una creatura e, con essa la propria, in cui ci si ritrova a non avere più spazio come donna, fagocitata nel ruolo di madre.

Ma non abbiamo bisogno di madri perfette; abbiamo bisogno di donne serene e pacificate che sono madri, che sanno amare, perdonare e perdonarsi, che sono porto sicuro, ma hanno la forza di lasciar andare, che non proiettano i propri desideri inesauditi sulla prole, che non crollano sotto le difficoltà sole, senza una rete di sostegno che le risollevi.

Non abbiamo bisogno di essere madri perfette, senza smagliature da gravidanza, senza mai un ritardo, un’imprecisione, una dimenticanza. Non abbiamo nemmeno bisogno di essere madri di bambini, se non lo desideriamo o siamo infertili: l’importante è generare altro da noi e accoglierci con amore.

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