La gestualità degli italiani, forma di comunicazione complessa al di là degli stereotipi
di Monica Lucignano
Quello del gesticolare è solo uno dei tre principali stereotipi con i quali ci si riferisce agli italiani. In sostanza, gli abitanti del Bel Paese sono: sempre molto eleganti, dei gran cuochi e gesticolano tanto. In realtà, gli studi in materia, sia per confermare che per smentire quest’ultima affermazione, non sono poi così copiosi. È per questo motivo che Maria Graziano e Marianne Gullberg, linguiste all’università di Lund in Svezia, ne hanno fatto oggetto di studio, ottenendo risultati inattesi e interessanti!
Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire perché la gesticolazione, indubbia forma comunicativa, sia così frequentemente attribuita alla popolazione italiana. Esistono pochi dati scientifici e molte ipotesi a riguardo; una di queste risale al periodo compreso tra il XIV e il XIX secolo, quando in Italia si sono attestate molte dominazioni straniere (Austriaci, Francesi, Spagnoli), secondo la quale per celare il contenuto semantico di certi messaggi agli invasori, gli italiani avrebbero sviluppato dei gesti con dei significati precisi ma sconosciuti ai più. Questa ipotesi, però, non è mai stata dimostrata. Rimane quindi forte l’interesse per la gestualità italiana. Uno dei testi più complessi e completi, pubblicati sulla gestualità italiana, risale al 1832. Si tratta di un trattato scritto da Andrea de Jorio, canonico procidano, con una forte passione per l’archeologia. Proprio esaminando le figure rappresentate sui manufatti greci antichi venuti alla luce nel territorio partenopeo, de Jorio aveva osservato che la gestualità propria dei napoletani era simile a quella rappresentata su tali manufatti e aveva elaborato la tesi secondo cui i napoletani avevano mutuato questa abitudine a comunicare con i gesti dal periodo di dominazione greca. Nel suo trattato descrive accuratamente, nella forma e nell’uso, i gesti che i napoletani del suo tempo utilizzavano. Secondo Adam Kendon, uno dei padri fondatori degli studi sulla gestualità (in tempi moderni e in termini scientifici) e grande studioso di de Jorio, benché delle prove qua e là suggeriscano che almeno certi gesti sono rimasti uguali nella forma e nell’uso per un lungo periodo di tempo (ad esempio lo scuotere la testa per dire no), una serie di gesti descritti da de Jorio non sono più in uso. Secondo lo studioso, si può ipotizzare che la diffusione della gesticolazione nella cultura partenopea possa derivare dal fatto che nell’agorà si conoscessero tutti e questo avrebbe facilitato “uno stile comunicativo molto informale, fortemente dipendente dal contesto e al quale ben si adatta l’uso di espressioni gestuali”.
L’interesse per la gestualità italiana e quella napoletana, in particolare, ha portato Kendon a visitare Napoli e a condurre le sue ricerche in questa città, dove ha anche insegnato. È proprio a Napoli che Maria Graziano, linguista napoletana, attualmente professoressa associata all’università di Lund, incontra Kendon e studia con lui, appassionandosi alla ricerca sulla gestualità che porta avanti sin dai tempi della tesi di laurea.
In un recente studio la dottoressa Graziano, insieme alla sua collega Marianne Gullberg, ha approfondito il tema delle differenze cross-culturali nell’uso della gestualità comparando i gesti prodotti da un gruppo di italiani e un gruppo di svedesi mentre svolgono un compito narrativo.
Come ci spiega la dottoressa, i due gruppi hanno dapprima visto un episodio di un cartone animato della serie Pingu (scelto perché privo di dialoghi) e hanno poi raccontato la storia ivi rappresentata ad un amico che non aveva visto il cartone. Dall’analisi dei dati risulta, da un lato, che gli italiani gesticolano più degli svedesi: questo, sebbene sembri confermare l’ipotesi della maggiore tendenza degli italiani a gesticolare di più, non è il dato più interessante. Infatti, il risultato più importante è che italiani e svedesi gesticolano in maniera differente. E cioè, gli svedesi ricorrono maggiormente a gesti cosiddetti “rappresentativi”. Questi gesti sono usati per rappresentare la forma e la dimensione degli oggetti, oppure azioni, come per esempio, rappresentare con le mani chiuse a pugno e muovendole avanti e indietro l’azione di stendere l’impasto con un matterello. Gli italiani, invece, usano prevalentemente gesti che vengono chiamati “pragmatici”. Questi gesti sono
usati per accompagnare ritmicamente e sottolineare parti del discorso, come per esempio presentare ciò che si dice all’interlocutore aprendo le mani con il palmo verso l’alto e muovendole verso l’interlocutore. Graziano spiega che questo diverso uso dei gesti dimostra che, a livello concettuale, i parlanti delle due lingue pensano e costruiscono la narrazione in maniera differente: più concreta nel caso degli svedesi che tendono a rappresentare le azioni e gli oggetti di cui parlano; più astratta nel caso degli italiani che tendono a presentare all’interlocutore le varie parti della storia.
Graziano sottolinea che più che dal parlato, è proprio dall’uso diverso dei gesti e dalla loro funzione che si evince questa differenza concettuale nel raccontare la storia. Per questo, la diversa funzione dei gesti è un risultato più interessante che la mera frequenza dei gesti. Inoltre, l’idea stereotipica che alcuni popoli gesticolano tanto è attribuita non solo agli italiani, ma anche agli arabi, ai francesi o agli spagnoli. Infine, -chiarisce Graziano- con i dati attualmente disponibili, non siamo in grado di spiegare perché gli italiani, almeno rispetto agli svedesi gesticolano di più. Se lo facciano anche rispetto ad altri popoli è un fatto da verificare empiricamente.
Per comprendere meglio questa diversità, abbiamo infine chiesto alla dottoressa perché si gesticola e quanto la lingua influenzi l’espressività del gesto che l’accompagna.
“La gestualità è una delle modalità comunicative che, oltre alla parola, abbiamo per esprimere i concetti di cui vogliamo parlare. I gesti hanno diverse funzioni: possono integrare i contenuti che esprimiamo verbalmente, possono anche aggiungere significati che non esprimiamo a parole, e possono servire a ridurre il carico cognitivo, come quando parliamo di concetti più complessi. Poiché gesti e parole sono strettamente correlati a livello cognitivo e linguistico, la lingua che si parla
può influenzare il tipo di gesti che si producono”.
Sembra quindi chiaro che la gestualità sia un fenomeno universale e che varia in alcuni aspetti a seconda della lingua parlata, ma che c’è ancora da studiare per capire come questa modalità comunicativa vari a livello culturale.
Maria Graziano
Responsabile sviluppo educativo
Professore associato, Sviluppatore educativo, Lund University Humanities Lab
Ricercatore, LAMiNATE (Acquisizione linguistica, multilinguismo e insegnamento)
Docente senior, Studi italiani
Acquisizione linguistica
Professore associato, Linguistica generale
Profilo area membri, Profilo area LU: Cognizione naturale e artificiale
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Luca Vullo è un ambasciatore della gestualità italiana, noto a livello internazionale per la sua esperienza nella comunicazione non verbale e per le collaborazioni con oltre 65 prestigiose università di tutto il mondo. Ha trasformato la gestualità italiana da stereotipo a materia universitaria, considerandola un patrimonio immateriale della cultura italiana.
www.lucavullo.com