Due romane turiste a Roma, tra alternative rock e statue di Botero
di Rosanna Sabella
Li avevano acquistati un anno prima i biglietti per il concerto dei Coldplay a Roma
E quello slogan – scelto dalla celebre band inglese everyone is an alien somewhere – sembra in parte rispecchiare lo stato d’animo che pervade un expat quando torna dopo qualche tempo, nella città natia.
L’expat in questione si chiama Simona, ha 59 anni e da 24 vive e lavora a Copenaghen.
Con lei ci incontriamo, all’indomani del mega-concerto all’Olimpico, in una moderna caffetteria dell’Eur per un cappuccino. Fuori il termometro tocca i 38° e sono solo le 11 del mattino.
Inevitabile iniziare il nostro piacevole incontro parlando delle differenze climatiche tra Roma e Copenaghen. Mentre anche la conversazione si scalda, lo scarto è già di 15°.
Con Simona c’è anche Dahlia, la figlia 24enne, frutto dell’amore nato trent’anni fa tra la vivace donna romana e il compassato marito danese.
“Ci siamo conosciuti in un pub di Edimburgo. All’inizio eravamo solo buoni amici, finché un giorno lui a sorpresa se ne uscì annunciando che aveva deciso di lasciare il suo posto di ingegnere in una grande azienda di telecomunicazioni per trasferirsi a Roma – racconta Simona.
La donna si stupì non poco della rapidità con cui il futuro fidanzato aveva preso la decisione.
“Per noi è impensabile lasciare il lavoro da un giorno all’altro – sottolinea. Ma lui era sicuro che anche a Roma non sarebbe rimasto disoccupato. E fu davvero così”.
E poi, che è successo? Perché siete ripartiti per Copenaghen? – chiedo. La risposta mi lascia basita. E suscita in me un senso di vergogna per qualcosa che non mi appartiene ma che nella mia, nella nostra città, è diventato da tempo un malcostume sempre più diffuso e che preferiamo indicare genericamente come “disonestà” nel gestire gli affari.
Peccato. Peccato, penso ad alta voce, che si debba sempre fare queste figuracce con i nordici. Non che a Roma si nasca tutti con questo “difetto di fabbricazione”, per carità. Ma basta una mela marcia nel cesto, si sa, per rovinare l’immagine di tutte le altre, è l’amara conclusione.
“Pensa che qualche tempo fa mio marito Lars ed io abbiamo trovato un portafoglio accanto a un portone – racconta Simona – non c’erano documenti ma c’era dentro una discreta somma di denaro. Che facciamo – ci siamo chiesti – lo portiamo alla Polizia? Non ha molto senso, azzardai, visto che non c’è il nome…ma Lars con la sua consueta fermezza insistette. Mi suggerì però di fare una foto e di attaccarla in entrambi i portoni contigui, tra i quali l’oggetto era stato rinvenuto, con il nostro recapito telefonico. Poi mi spiegò che se fossimo andati alla Polizia e il proprietario non si fosse nel frattempo presentato, trascorso qualche mese avrei avuto il 10% di ricompensa sulla somma consegnata agli agenti come premio per la mia onestà. Così è stato. Lasciammo tutti i nostri dati identificativi, iban compreso. E dopo qualche tempo mi ritrovai accreditato sul conto quel dieci per cento. Incredibile no?
Lo stesso vale per la sicurezza. A Roma le risse sui mezzi pubblici sono all’ordine del giorno. Botte da orbi tra borseggiatori e passeggeri della metropolitana, è accaduto proprio in questi giorni. E la notizia è rimbalzata su tutti i giornali.
Da noi a Copenaghen questo non sarebbe possibile – dichiara Simona. Le stesse compagnie ferroviarie attraverso i loro controllori, sempre presenti sui treni, effettuano in ogni momento le dovute verifiche”. E nemmeno essere aggrediti in strada, come succede sempre più spesso nella Capitale, sarebbe possibile senza importanti conseguenze per ladri e assalitori.
Quindi la domanda inevitabile: ma cosa vuol dire essere una romana a Copenaghen?
“A dire il vero – esordisce Simona – la mia prima impressione fu quella di un paesotto con poche persone, negozi e posti pubblici con orari molto limitati soprattutto nel weekend.
Col passare degli anni però la città è diventata più dinamica e cosmopolita e anche il traffico è in continuo aumento (sic!)
Ciò che mi rende felice – sottolinea la donna – è la sensazione di libertà che provo, ad esempio, quando vado in giro in bicicletta e quando cammino senza sentire gli occhi degli altri addosso che giudicano il tuo modo di vestire e di essere. La tranquillità con la quale riesco a godere la vita senza ansia e senza stress, in totale sicurezza”.
SLOW LIVING: UNO STILE DI VITA
Già. Da romana, quasi stento a credere a tutto quanto mi viene riportato. E ancora una volta penso a come sarebbe più bella la mia città e gentiluomini (e gentildonne) i suoi abitanti, se solo si riuscisse a prendere esempio dagli scandinavi. Almeno su certi fronti.
E mentre il mio sguardo cade sul barman stralunato che pare correre sul posto muovendosi a scatti come percorso dalla corrente elettrica, il mio pensiero va a quel locale di Copenaghen dove ci si presenta alla cassa, si chiede una bevanda o uno snack, si lascia il proprio nome (basta quello, il cognome non è richiesto) e dopo tre minuti al massimo il ragazzo ti convoca e sorridendo ti consegna senza scomporsi quello che hai ordinato.
Niente fila, né isterismi. Sono tutti tranquilli e rilassati. Comodità, sicurezza, accoglienza e familiarità. Ecco, in queste quattro parole é racchiuso il segreto del benessere danese, segreto che può essere sintetizzato nell’unica, ormai universalmente nota, espressione hygge.
“Difficile immaginare una Roma con questi ritmi”, dichiara più realisticamente Simona (quando chi scrive già immaginava di proporre ai ristoratori romani un corso di “danimarchizzazione”!) . Il fatto stesso di consumare un espresso (caffè corto, anzi cortissimo in tazza piccola) implica lo stare in piedi accalcandosi davanti al bancone e sventolando il proprio scontrino sotto il naso del povero barman affannato. Ma… eccone uno all’opera. Lo indico con discrezione alla mia nuova amica.
“Mi fa un caffè ristretto al vetro? Veloce, per cortesia! Lo prendo al volo e scappo!”
Ok, come non detto, Simona. Hai vinto.
COSA NE PENSANO I GIOVANI
Dahlia ascolta partecipe i nostri discorsi e divertita si inserisce di tanto in tanto nella nostra conversazione. Certo, un paragone vero e proprio tra Copenaghen e Roma pare alquanto temerario se si pensa che Roma annovera da sola – tra residenti e immigrati – un numero di abitanti pari a quelli che popolano l’intera Danimarca.
E tuttavia – proprio in virtù di tante e tali differenze – è difficile non cedere alla tentazione di mettere a confronto le due città e i loro stili di vita, soprattutto da parte dei giovani.
“Matthias, mio fratello, ha preferito restare a Copenaghen. Lui non ama i ritmi frenetici di Roma, la sua confusione – spiega Dahlia. A me invece piace questa animazione che ci fa sentire tutti più vivi. Le voci chiassose della gente, la musica e gli artisti di strada, mostre ed eventi a non finire. Chi se lo aspettava di ritrovarsi fra le statue di Botero a scattare foto e selfie? è stato bellissimo! E’ un po’ la stessa sensazione che provo quando vado in Spagna – prosegue la giovane con una vivida luce negli occhi – Il carattere dei latini, la loro natura solare sono più affini al mio modo di essere. Io amo Roma. E, ovviamente, la sua cucina. Ma anche i suoi tramonti che d’estate arrivano tardissimo. In Danimarca l’inverno sembra non finire mai….”
E allora quale “ricetta” migliore se non quella di alternare i soggiorni danesi con i soggiorni romani?
“Mi ritengo fortunata – conclude Dahlia – perché, almeno fino a che non finirò i miei studi e non inizierò a lavorare, posso volare da un Paese all’altro in poco più di due ore, godendo del bello che sia la Danimarca che l’Italia regalano alla mia vita”.
Al dopo, Dahlia, preferisce non pensare.