I thriller di Sara Blædel di Emma Fenu

28 Novembre 2018
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I thriller di Sara Blædel:
in cerca di assassini nei boschi danesi per confrontarsi con la inconscia paura dell’Altrove
di Emma Fenu

I romanzi di Sara Blædel sono ambientati in Danimarca, nella Regione di Sjælland, eletta a teatro di omicidi misteriosi. A condurre le indagini è Louise Rick, una coraggiosa e intuiva detective dal passato tormentato che si metterà in gioco come professionista e come persona, superando paure inconsce e facendo emergere ricordi dal pozzo della memoria. Una prima volta Louise dovrà scoprire l’identità del cadavere di una donna con una cicatrice sul viso, forse cresciuta in un ospedale psichiatrico e dichiarata morta da bambina, insieme alla sua gemella; una seconda volta, invece, sarà alle prese con la vicenda di un adolescente, Sune, scomparso nel nulla durante un rito di iniziazione presso una comunità neopagana perché testimone di un evento terribile.
Sara Blædel ci conduce nell’Altrove misterioso, simbolicamente rappresentato, fin dal tempo del Mito e delle fiabe, nel bosco, luogo liminare per eccellenza fra ordine e caos, fra buio e luce e fra razione e istinto.

Ci si può perdere e si può morire negli spazi infiniti di alberi, nei non-luoghi fra case dalle finestre scure e dal tetto di paglia.
C’è il nero della coscienza nel bosco, dove si svolgono riti pagani su altari lordati di sangue e si crescono nel segreto orfani senza passato e senza futuro.
Ci sono bambini dimenticati che non possono disperdere nessuna briciola per segnare il sentiero che riconduce a casa.
Ci sono donne violate e uccise che non hanno neppure un cappuccetto rosso da calare sul volto per nascondersi dai lupi.
Ci sono Dee Madri gelose dei propri figli e Dee Matrigne assassine dallo stomaco vorace, affamate di giovani cuori.
Guardatevi le spalle.
Fra tronchi, foglie, croci scrostate e pietre c’è un’ombra che si nutre del silenzio e della paura.
La vostra orma, quella parte oscura che non potete confessare nemmeno davanti allo specchio della coscienza.

Dal danese all’italiano: la traduzione come forma di creazione
A rendere i due avvincenti romanzi godibili dal pubblico italiano è stato il traduttore Alessandro Storti che ci ha raccontato la sua sfida, a nostro avviso superbamente vinta, con il testo in lingua originale. “Per quanto riguarda il ritmo del testo”, afferma “l’unica differenza tra danese e italiano è che il primo predilige la paratassi, ossia un periodare semplice e fatto di frasi brevi, e il secondo l’ipotassi, ossia un periodare complesso, con frasi lunghe e articolate; perciò, se si opta per una traduzione troppo fedele, si rischia di produrre una versione italiana che suonerebbe come una mitragliata di palle di neve, e darebbe un’idea sbagliata dell’indole del romanzo.

Ma il ritmo è importantissimo, e non va sacrificato per nessuna ragione: il segreto sta nel saper capire qual è l’elemento espressivo più importante e lasciare che sia quest’ultimo a fare da perno a tutto il resto. Nel caso di una valida narratrice come Sara Blædel, tuttavia, il mio lavoro è semplificato: il testo è organizzato secondo un ordine meticolosissimo, come una bella camera d’albergo nella quale non occorre spostare nulla, perché ogni cosa è già nella posizione più confacente alla sua funzione.”
Il processo di traduzione è creativo e non si basa semplicemente sulla resa corretta della forma in un altro contesto linguistico, ma prevede la capacità di esprimere concetti mentali e retaggi culturali. Di tale sfida è ben consapevole Alessandro, che aggiunge: “Se proprio devo citare qualche dettaglio un po’ difficoltoso, ammetto che, nel caso di una serie di romanzi così legata a una ruralità specifica – nella fattispecie, quella di Hvalsø e dintorni – possa essere un po’ arduo presentare a un pubblico italiano la ingenita “danesità”, ma è pur vero che la Blædel è molto attenta a prendere per mano il lettore (e, per mia fortuna, il traduttore) e guidarlo nei più reconditi angoli di questi luoghi geografici e umani.”

 

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