La magia del teatro a cura di  Alessandra Sicuro 

9 Febbraio 2019
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La magia del teatro
a cura di  Alessandra Sicuro

Intervista a Giacomo Ravicchio
Pluripremiato drammaturgo, regista, scenografo, compositore e attore, co-fondatore, nel 1996, del teatro Meridiano (Gentofte), Giacomo Ravicchio si muove con eccezionale naturalezza e abilità nell’universo del teatro, sia in Europa che oltre (Giappone, America Latina, Cina ecc…). Il suo lavoro fonde opera, danza, musica classica ed elettronica, videoarte e illusioni digitali e include anche la dimensione più raccolta, poetica, del teatro per ragazzi.

Come inizia la tua avventura teatrale?
Nel 1973 è venuto nella mia scuola un noto animatore ed attore teatrale. Ero un ragazzino molto agile, con forti potenzialità acrobatiche , con il mio corpo facevo qualsiasi cosa. Mi ha detto: “hai un senso comico incredibile” una capacità scenica rara”. Mi ha chiesto ben presto se mi interessava fare teatro a livello professionale. Facevo solo la terza media.
La compagnia teatrale era diretta dal docente di storia di teatro dell’università di Torino, e dal suo assistente. Dopo un lungo tirocinio ho cominciato come attore, ho fatto innumerevoli spettacoli per adulti e per ragazzi. Ho imparato molto. I due docenti erano esigentissimi… ho cominciato a leggere dei testi sul teatro a 15 anni; poi ho dovuto lavorare sulla pronunzia, senza tregua, dovevo essere perfetto prima di poter pronunciare una parola in palcoscenico. Ho aiutato a fare le maschere; ho imparato centinaia di canzoni popolari italiane; ho imparato a suonare vari strumenti… ho avuto la possibilità d’imparare di tutto: luci, tecnica, scenografia….

Quando sei passato alla regia e alla scrittura?
Finito il militare, ho creato e interpretato con Nino D’Introna, mio caro amico, uno spettacolo che ha avuto un successo straordinario” Pigiami” del 1983, (Oggi lo spettacolo conta circa 2000 repliche in giro per il mondo: Europa, Australia Stati Uniti, Canada. N.d. R.)
E poi insieme abbiamo scritto e diretto Robinson & Crusoe, spettacolo con un incredibile numero di repliche… e più di 160 compagnie hanno comprato i diritti per poterlo rappresentare. Solo io personalmente ho fatto 9 regie, tra cui alcune in Israele, Spagna, America, Danimarca. Questo piccolo spettacolo ci ha resi tra gli autori italiani più rappresentati nel mondo dopo Dario Fo.
Due soldati nemici sono costretti a trovare un modo di comunicare tra loro, per poter sopravvivere sul tetto su cui sono arrivati come naufraghi dopo una catastrofe. Un personaggio parla la nostra lingua e l’altro una lingua sconosciuta. È una storia molto comica, tenera, commovente, una storia di amicizia. Un tema universale insomma.
Il teatro deve essere universale. Per questo faccio anche teatro per ragazzi, che di per sé lo è già. Oppure unisco generi completamente diversi tra loro, come l’opera lirica, e l’hip hop o la street dance, cercando di ottenere un prodotto ibrido che tocca emozionalmente sia le persone anziane che i teen agers. L’origine del teatro è popolare. Il teatro è un’avventura collettiva: partecipare insieme a quello che si vede, come un tempo sulle piazze, grandi e bambini assistevano insieme a tutto, circhi, acrobati e ahimè persino a punizioni capitali.

Il teatro deve “mostrare”?
Il linguaggio visivo per me è importante da sempre. Dietro di me c’è un passato fatto anche di marionette e maschere e teatro di figura. La marionette o la maschera della Commedia dell’arte sono un esercizio straordinario, come tutte le cose che ti estraniano o ti bloccano. La maschera è una sfida fondamentale, rivela delle potenzialità che non sapevi di avere, come attore. Lo stesso con le marionette e il teatro di figura, che sviluppa il tuo senso estetico, dove appunto la figura sostituisce la parola.

Il teatro di figura sviluppa una maggiore consapevolezza dello spazio scenico?
Quando muovi una marionetta devi far muovere lo sguardo del pubblico dove vuoi tu, farlo focalizzare su un determinato universo. Se un personaggio fa qualcosa, l’altro deve stare fermo, quindi questo, come attore ti aiuta anche ad avere un’idea differente dello spazio scenico.

Quindi imposti tutto sul linguaggio visivo?
Ho fatto molte regie di testo ma mi annoio un po’ quando c’è solo testo . Preferisco dare un giusto equilibrio tra l’immagine e la parola. Un’immagine a volte per me ha una forza maggiore di una frase. Il cervello le elabora, in modo diverso, è una questione onirica, del subconscio, come nel sogno.

Cosa ti ha portato in Cina?
Centinaia di programmatori teatrali internazionali vengono in Danimarca ad assistere ogni anno al April festival; tra questi moltissimi cinesi. Il direttore del Drammatic Arts Center di Shanghai, ha visto alcuni miei spettacoli, sia per adulti che per ragazzi, e mi ha chiesto di fare una regia per loro, su un tema classico cinese da poter portare in giro per il mondo. Di conseguenza è stato logico per me creare una parte visiva molto forte per rendere universalmente più comprensibile la storia. Questo teatro è considerato in Cina il massimo dell’ avanguardia. E invitano molti registi stranieri. In questo periodo farò la regia di uno spettacolo su Chaplin a Shanghai , prodotto originalmente dalla mia compagnia Meridiano Teatret e di conseguenza dirigerò i loro attori in una versione cinese.

Quanto importa la parola?
Tendenzialmente, quando faccio teatro faccio del cinema, nel senso che faccio i montaggi delle scene come se tagliassi e montassi le scene in un film. Quindi il lato visivo è molto importante.
Il pubblico ha imparato a seguire subito i cambiamenti di luogo e tempo; il teatro poi ha questo potere, se metti un reperto archeologico capisce subito, non serve, ad esempio, un’intera piramide. Chaplin è metà parlato e metà visuale. La parola, il sonoro, le immagini sono ugualmente importanti. Come nella nostra vita.

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