Il velo che ispira e racconta: Domenico Sepe, Jago e il Cristo velato tra terra e cielo
di Daniela Marra
Realizzata nella seconda metà del ‘700 e con 750.000 visitatori solo nell’ultimo anno, Il Cristo velato è una delle sculture più commoventi e ammirate al mondo. Commissionata dal Principe Raimondo di Sangro e realizzata dal maestro Giuseppe Sammartino su bozzetto del Corradini, è oggi collocata al centro della navata délla Cappella San Severo, nel centro storico della città di Napoli.
Il velo così aderente che sembra fondersi alla carne, quasi la consuma e la spiritualizza, rendendo quest’opera così commovente da ispirare attraverso il tempo due giovani artisti, Domenico Sepe e Jacopo Cardillo (Jago), che pur partendo da presupposti, forme, contenuti, tecniche e materiali diversi, sono accomunati dalla stessa ispirazione: Il Cristo Velato.
Non stupisce che Canova avrebbe ceduto dieci anni della sua vita pur di averla scolpita. Un Cristo disteso, dormiente, che giace avvolto nella sua sindone e ai cui piedi risalta una corona di spine dalla lavorazione straordinaria, i chiodi simbolicamente a forma di x e le tenaglie. Secondo molti studiosi la rappresentazione del tema della passione di Cristo così emozionante, offrirebbe l’occasione simbolica perfetta per raccontare il momento più alto del rituale misterico del velo legato alla morte e alla resurrezione di Hiram di Tiro, architetto del tempio di Salomone, immagine che rimanda ad una simbologia legata ad un insieme di riti che avevano la funzione di ammissione in una società segreta, custode di un sapere occulto avvertita con forza lungo tutto il percorso della Cappella.
La volontà del Principe era porre il Cristo velato nell’ipogeo esagonale, ultimo passaggio rituale e su di esso collocare un lucernario, il lume eterno, una luce che irradiava le dieci virtù sephirotiche cioè le dieci virtù rappresentate dalle dieci sculture della cappella a partire dalle profondità della cripta. Misteri e leggende danno vita ad una storia fantasiosa e terribile che si lega all’immagine del principe diavolo: Il velo così straordinariamente avvolgente e aderente sarebbe stato il risultato di un processo alchemico di marmorizzazione. La straordinaria opera marmorea, vero e proprio corpus symbolicum della Cappella, segno e simbolo di grazia e magnificenza, destano nell’osservatore meraviglia e stupore che li avvicina al divino, un divino tirato fuori dal marmo di Carrara dal maestro Sammartino.
Il figlio di tutti
Il 21 Dicembre 2019 a Napoli nella sua bottega d’arte lo scultore Domenico Sepe ha presentato al mondo il “Cristo Rivelato” in corso d’opera, ispirato dalla “contemplazione delle velature lucide e morbide del Sammartino”. Nello stesso tempo Jago, social artist, ha inaugurato la scultura che ama definire “di tutti” presso la sagrestia di San Severo, dal titolo “Il figlio velato”. L’opera, che spicca per la straordinaria minuzia di particolari, è stata realizzata a New York, grazie alla risonanza social e mediatica dell’artista e racconta una storia corale, come lo stesso Jago afferma, una storia “diversa”, una storia terrena, laica, di denuncia e speranza: il bambino disteso e avvolto nel velo è simbolo delle vittime innocenti del mondo, carnefice consapevole del nostro tempo. I copiosi particolari del panneggio rendono la scultura di Jago un’opera da osservare da vicino, riflettendo su ogni singolo elemento decorativo, un barocco del particolare che stupisce nella visione intima.
Diversamente il maestro Domenico Sepe rappresenta un momento mai rivelato dalle scritture: il sacro Risveglio di Cristo nel suo primo respiro di sofferenza, metafora della narrazione della vita di Cristo uomo.
Se Cristo uomo abbandona ogni passione umana con la morte fisica, tuttavia lo stupore, il dolore, la paura mista a sgomento sono le suggestioni che suscita quest’opera, come Il gesto sospeso della mano a mezz’aria, che racconta l’ umano di fronte all’invisibile, la terra che incontra il cielo, un istante troppo intenso per non provocare anche sgomento e paura. Disorientamento, sofferenza, opposizione, trovano il loro spazio narrante nella parte “spoglia” del corpo di Cristo, come nudo è l’uomo di fronte alla Rivelazione. D’altra parte le velature lasciano intravedere drammaticamente la forma, forma di un divino sentire. Lo splendore tragico del corpo narra in un solo gesto, in un solo atto, una complessa visione di Cristo Uomo e Cristo Dio, una visione che è Dogma sconosciuto e pur da lontano desta stupore e riflessione.