Giovanni, eroe libero di Grazia Mirabelli

15 Aprile 2020
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Giovanni, eroe libero
di Grazia Mirabelli

Dal 23 maggio del 1992, giorno dell’attentato mafioso di Capaci, in cui Giovanni Falcone fu assassinato insieme alla moglie Francesca Morvillo ed alla sua scorta, nulla nella lotta antimafia è stato più come prima. Uomo giusto e appassionato, Giovanni ne ha incarnato il simbolo, segnando i limiti del prima e dopo, tracciando con la sua innovativa tecnica ed intuito investigativo le basi per il lavoro del futuro. Un futuro al quale lui stesso sapeva di essere destinato a non appartenere, ma del quale avrebbe continuato a far parte attraverso il lavoro, la competenza e il credo fedele di chi sarebbe venuto dopo di lui.

La professoressa Maria Falcone, sorella del magistrato  Giovanni Falcone, è venuta a trovarci a Copenaghen. Ex insegnante di diritto, Maria è donna dalla dolcezza risoluta e dallo sguardo profondo.  La sua vita, attraverso la Fondazione da lei stessa voluta in memoria di Giovanni, si è trasformata in una missione da condividere in dimensione ampia e collettiva, una testimonianza che fa riflettere ed educa a farsi portatori di un credo da divulgare, più giusto, e libero dai veleni delle mafie.

Qual è Maria, il ricordo più vivido della figura di suo fratello?
Poco prima di morire, durante un’intervista, Giovanni aveva lasciato quello che sarebbe stato il suo testamento morale. Giovanni sapeva che sarebbe morto, sapeva che sarebbe finita così e con quelle parole lasciava agli italiani un compito fondamentale, continuare a portare avanti le sue idee. “Gli uomini passano ma restano le loro idee, restano le loro emozioni che continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”. Una frase che oggi tutti i ragazzi delle scuole italiane conoscono proprio attraverso il lavoro costante della Fondazione Falcone.
Anche Maria ha fatto suo questo messaggio. Nelle sue parole, cariche di sentimento fraterno, si coglie la considerazione per ciò che Giovanni, a distanza di 28 anni, ancora rappresenta agli occhi degli italiani. Un miscuglio di sensazioni che il tempo e i ricordi hanno assottigliato, liberandoli dai fronzoli e dalle troppe parole dette, senza per questo alleggerirne il peso e lasciando spazio ad un sentimento scarno, di orgogliosa, fedele ammirazione per l’uomo.

L’albero di Falcone
«Giovanni affermava sempre che la lotta alla mafia non è solo repressione, ma anche e soprattutto prevenzione – continua Maria – fu così che, assieme ad alcuni magistrati suoi colleghi pensammo di dare vita alla Fondazione Falcone, che doveva servire proprio a portare avanti, sulle nostre gambe, le sue idee».
La fondazione, che ha scelto l’albero di Falcone quale simbolo di riscatto, realizza incontri e convegni, e quotidianamente si impegna attraverso ricerca, università della legalità, borse di studio e percorsi nelle scuole, dove anche Maria stessa incontra i ragazzi per diffondere la conoscenza dei temi legati alle mafie. Un lavoro attento e costante che butti le basi per una mentalità nuova, più scevra e libera, e che non lasci spazio ai disvalori della mafiosità, tra cui indifferenza e omertà.

Come potremmo definire il fenomeno mafioso?
Non esiste una mafia buona e una mafia cattiva. La mafia è soltanto cattiva e agisce solo nel proprio interesse. Quella siciliana in particolare è un’organizzazione criminale che riesce a penetrare con forza in quelli che sono i gangli principali della vita sociale del Paese, avvelenandone la politica e riuscendo, a poco a poco, a minacciarne lo spazio di democrazia. Ma si tratta anche di un fatto culturale, e come tale deve essere combattuto a partire dai più giovani, con un salto generazionale, educandoli ad un concetto di legalità, contrastando il proliferare delle mafie che, per definizione, si sono sempre avvalse della connivenza con i vari rami della società.

Cosa resta oggi del lavoro di Giovanni?
Anche dal punto di vista investigativo Giovanni ha lasciato un’eredità consistente nel metodo Falcone, “follow the money” che introdusse mirate indagini bancarie, patrimoniali e societarie, in Italia e all’estero. Si arrivò così a portare alla luce importanti contatti e trasferimenti di denaro secondo il principio nel quale lui credeva fermamente: “segui il denaro e troverai Cosa Nostra“.
E poi è stato lui stesso ad introdurre una fitta cooperazione tra i sistemi giudiziari internazionali. Perché come Giovanni ha sempre affermato “il fenomeno mafioso non è solo un problema siciliano o generalmente italiano, ma un cancro ben più ampio che riguarda l’Europa e il mondo”.

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