Un Natale senza feste di Benedetta Rutigliano

15 Dicembre 2020
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Un Natale senza feste
Ristoratori italiani in Danimarca e in Italia a confronto durante la pandemia: fin dove arriva lo Stato?
di Benedetta Rutigliano

Mi trovo a scrivere nella prima metà di novembre, periodo in cui, ante Covid, aziende, famiglie, comitive, mandavano le prenotazioni a ristoranti e locali per le feste di Natale. Dicembre, mese di uscita dell’articolo, è sempre stato costellato di appuntamenti culinari, brunch, aperitivi, cene, per brindare a un Natale sereno e spesso alla fine dell’anno. Non andrà così, nella maggior parte del mondo, almeno per questo 2020. Non è andato tutto bene, come si sperava, e il virus che d’estate sembrava essersi vagamente intimidito, è tornato nella sua casta invisibilità ancor più aggressivo di prima, causando un’impennata nella curva dei contagi che ha costretto i governi a diversi provvedimenti. Come cronista de Il Ponte ho interpellato tre ristoratori italiani che lavorano a Milano e hinterland e altrettanti in Danimarca, a Copenaghen e Odense, per capire come sono sopravvissuti al primo lockdown e come vivono la situazione attuale tra chiusure, limitazioni, paure (le interviste sono state raccolte dalla fine di ottobre al 9 di novembre 2020).

L’Italia, dal 6 novembre, è divisa in tre zone, rossa, gialla e arancione, a seconda degli scenari di rischio, a cui corrispondono altrettante tipologie di restrizioni: la Lombardia (assieme a Piemonte, Valle d’Aosta, Calabria), dove si trovano gli imprenditori consultati, è considerata zona rossa, quella dai provvedimenti più severi.

Bar, gelaterie, pasticcerie, ristoranti, pub, che fino al decreto precedente potevano rimanere aperti fino alle ore 18 (come accade, adesso, solo nelle zone gialle), sono costretti a tenere chiuse le serrande se non per asporto e delivery. Diversa è la situazione in Danimarca, dove la chiusura delle attività ristorative è prevista dalle ore 22, con un massimo di 10 persone per tavolo e mascherina obbligatoria quando non si è seduti. Proprio in questi giorni, poi, un’ulteriore problematica ha aggravato la situazione sanitaria: si è sviluppata nello Jutland settentrionale, regione danese che ospita oltre 1.100 allevamenti di visoni, una mutazione del virus che ha contagiato l’uomo. Questo ha determinato la decisione del governo di imporre la quarantena per 280 mila abitanti di sette municipalità dell’area interessata, un lockdown delle attività ristorative e non, e in più l’abbattimento di 17 milioni di visoni, con ripercussioni economiche per il maggior produttore di pellicce di visoni, ed etiche per chi ha a cuore gli animali battendosi contro gli allevamenti intensivi e le giacche di pelo vero.

I ristoratori delle due nazioni vivono realtà molto differenti: in Danimarca nessuno si lamenta del supporto economico ricevuto dallo Stato, che è intervenuto, come racconta Claus Miller, responsabile della comunicazione di due ristoranti di Copenaghen La Vecchia Signora (www.lavecchiasignora.dk) e Ristorante San Giorgio (https://it.ristorantesangiorgio.dk/), entrambi di Olimpia Grussu e Achille Melis (59 e 66 anni e in Danimarca da mezza vita), sia pagando le spese fisse (affitti, stipendi, luce, gas, leasing, etc) che con un’importante compensazione per il mancato fatturato, a patto di non licenziare il personale. Per Marco Avolio Terenzi e Antonio Restino, quarantottenni di origine romana che nel 2017 hanno fondato a Odense la Marcantonio Trattoria Pizzeria (www.marcantonio.dk), e che in primavera, per tutelare clienti e dipendenti hanno anticipato di 5 giorni il lockdown lanciato dal governo, immaginando lo scenario in seguito alle notizie ricevute dai loro cari in Italia, lo Stato danese ha infine “elargito denaro anche più di quanto immaginato”. Ma in questi ultimi giorni la loro tranquillità sembra minata dalla vicenda del virus mutato: “A oggi non si hanno certezze, non sappiamo se dovremo chiudere di nuovo, e le parole del Primo Ministro danese sono state illuminanti: il rischio che il vaccino funzioni su questo ceppo modificato è pari allo zero”, racconta allarmato Antonio. Se il take away è la carta vincente per la pizzeria già d’asporto del giovane Salvatore Gallo, trentaduenne campano che nel 2016 ha aperto a Copenaghen Da Gallo Pizzeria (www.pizzeriadagallo.dk) e che dichiara persino un aumento di fatturato per via della pandemia, per i ristoranti di cui sopra il take away è una soluzione sconveniente che non vale la pena di percorrere, così come il delivery, che, racconta Claus Miller, si mangia il 30% di ogni ordine. Invece i fondatori di Marcantonio Trattoria rimangono attivi con take away e delivery, pur se per le consegne, oltre al corriere, utilizzano anche i propri mezzi “apponendovi scritte, loghi e quant’altro, tutto per cercare di salvare il ristorante e il lavoro dei dipendenti”, specificano.

Il costo eccessivo delle società che fanno delivery è denunciato anche dai ristoratori italiani, a quanto pare decurtati del 33% su ogni ordine. Proprio per la sconvenienza del servizio, e per la poca resa del take away, Maurizio Verdone, 45 anni, socio assieme al padre nonché fondatore Renato, 75 anni, del ristorante Al Tempio d’Oro (www.altempiodoro.it), storico locale fondato nel 1982 a Milano, ha deciso di interrompere del tutto l’attività fino a che non si potrà rialzare la saracinesca. Prima che la Lombardia entrasse in zona rossa aveva organizzato alcuni pranzi a tema durante i fine settimana “per cercare di sopperire alle mancate entrate dovute alla chiusura delle 18”.

A proprie spese ha allestito con tavoli, ombrelloni e fioriere (e cartelli segnaletici posizionati in collaborazione con altri cinque locali del quartiere), un accogliente dehors esterno, per far sentire a proprio agio i clienti e utilizzando la possibilità di occupazione del suolo pubblico gratuita concessa dal comune di Milano. Ma questo investimento al momento non serve più, data la chiusura totale e le grigie previsioni per gli appuntamenti natalizi.

Per nessuno dei ristoratori italiani interpellati i provvedimenti del Decreto Ristori emanato dal governo sono stati sufficienti. “Tra stipendi da pagare ai dipendenti e le utenze, ci siamo dovuti arrangiare noi”, dichiara Enzo Casillo, 56 anni, dal 2015 proprietario del Ristorante Al 53 (www.facebook.com/al53milano) a Cassina de’ Pecchi, che estende al Nord la tradizione dell’omonimo ristorante di piazza Dante a Napoli, proprietà del padre e della famiglia da fine Ottocento. “Per tre mesi non abbiamo avuto incassi, e a settembre abbiamo perso tutte le Comunioni e le Cresime.

È sacrosanto chiudere se il motivo è la salute, ma lo Stato dovrebbe tutelare maggiormente gli imprenditori, che non possono accedere alla cassa integrazione per se stessi”. Per Massimo Marchiafava, 51 anni, che dal 2014 gestisce l’Osteria Perbacco (www.perbaccosteria.it) a Cernusco Sul Naviglio, “bisognerebbe utilizzare i fondi europei per sostenere i piccoli imprenditori, e indirizzare i soldi a disposizione diversamente, non per il bonus mobilità o il bonus baby sitter”. Massimo ha fatto il possibile per garantire gli stipendi ai dipendenti nonostante i mesi senza fatturato e le spese da sostenere. Va avanti col take away per una questione di continuità, ma è difficile rimanere ottimisti: “Saranno in pochi a riaprire nel 2021, se questo dicembre andrà male”, aggiunge. Già dopo il primo lockdown, in effetti, son stati diversi i ristoranti milanesi a non riaprire più i battenti.

Le differenze di supporto statale tra le due nazioni paiono lampanti, pur se in entrambi i casi ci si sente molto lontani dal frizzante, pur se spesso artefatto, clima natalizio a cui eravamo abituati pre-Covid, poiché si sa, tutto quel che gira intorno al Natale ravviva decisamente l’economia dei nostri Paesi. Il miglior regalo da trovare sotto l’albero potrebbe essere la notizia di un vaccino efficace, pronto a breve, e disponibile per più persone (giungono i primi echi, in questi giorni, del vaccino di Pfizer). Per questo Natale, a sentirsi fortunato, sarà forse chi potrà festeggiare in salute col proprio nucleo di famigliari, e forse, più di altri, questo sarà un Natale di speranza.

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