L’infinita attrattività del genio dantesco e della sua commedia di Giulia Del Grande

25 Marzo 2021
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L’infinita attrattività del genio dantesco e della sua commedia
In occasione dei 700 anni dalla morte di Dante
di Giulia Del Grande

Forse non tutti sanno che, dalla Ny Carlsberg Glyptotek, dando le spalle al museo e volgendo lo sguardo aldilà delle macchine che sfrecciano sulla H. C. Andersens Boulevard, si può ammirare una statua di donna eretta su una colonna e ai piedi della stessa il volto di un uomo. Si tratta di Beatrice e Dante Alighieri e la piazza è la Dantes Plads di Copenaghen. Sebbene la necessità di favorire il traffico l’abbia sacrificata, ponendo la statua al centro delle quattro corsie, da italiani si resta positivamente sorpresi nel vedere che una rappresentazione scultorea di Dante, opera giunta in Danimarca nel 1921 in occasione dei 600 anni dalla sua morte, occupi un posto così centrale della città.

Ma com’è possibile che un autore medievale, di cui in Italia viene insegnata unicamente una parte della sua opera fondamentale e le cui altre opere sono oggetto di studi letterari e linguistici prevalentemente a livello universitario, continui ad affascinare giovani e adulti di paesi, lingue ed estrazioni culturali diverse da circa 700 anni?
La grande maggioranza degli italiani conosce Dante (1265-1321) per aver studiato al liceo anche solo qualche canto dell’Inferno, prima cantica della Divina Commedia. La lettura dell’opera necessita infatti di una parafrasi, la cui comprensione richiede conoscenze di storia italiana medievale e di mitologia greca.
Ciò che però, ancora oggi, affascina gli studenti è l’attualità dei concetti espressi, come la corruzione ecclesiastica e politica, la centralità del concetto di Italia (all’epoca preda di poteri diversi) e la passione con la quale Dante dà voce a sentimenti umani di cui il lettore si sente partecipe: l’amore, l’odio, la rabbia, il pentimento, il dolore, la speranza, il desiderio di giustizia… Una giustizia che per Dante è divina, come è divina la ragione del suo viaggio nell’Inferno, nel Purgatorio e nel Paradiso che Dante percorre con l’aiuto di Virgilio, Stazio, Beatrice e San Bernardo.

Perché Dante intraprende questo viaggio nell’aldilà? Aldo Cazzullo, giornalista e scrittore, nel suo libro intitolato A riveder le stelle, pubblicato nel settembre 2020, racconta i significati della Commedia sottoponendo al lettore diverse chiavi di lettura: quella storico-patriottica, ovvero di ricostruzione dei fatti più salienti della storia d’Italia, quella religiosa a dimostrazione della forza di Dio e della fallibilità della Chiesa, quella umana a ricordarci i nostri vizi e virtù, infine quella personale dantesca che vede la Commedia come una rivincita dell’autore sulle cause che l’hanno obbligato al triste esilio, in fuga dalla sua amata e odiata Firenze.
La straordinarietà dell’opera è data quindi, fra i tanti aspetti, dalla molteplicità delle sue possibili interpretazioni. La tesi è confermata dalla sterminata quantità di pubblicazioni e ricerche accademiche che riguardano Dante e la sua Commedia e che hanno avuto inizio con Giovanni Boccaccio (1313-1375), scrittore del famoso Decameron, il quale, come ci ricorda lo storico Alessandro Barbero (autore della recente opera: Dante) raccoglie informazioni sull’autore per studiarne la vita.
All’estero la percezione dell’autore, e quindi la sua grandiosità, si legano anche ai fondamenti linguistici dell’Italiano, questa bellissima lingua, gentile, “angelica” (Thomas Mann), melodica e armoniosa, che è nata anche dalle parole di Dante. Come infatti precisato dall’accademico Giuseppe Patrota, quando il poeta iniziò a scrivere la Commedia, il vocabolario fondamentale dell’italiano, ovvero l’insieme di 2000 parole di larghissimo uso con cui costruiamo circa il 90% dei nostri discorsi, era completo già al 60%; Dante, quindi, non è il creatore della lingua italiana ma contribuisce alla sua affermazione e partecipa allo sviluppo del suo vocabolario fondamentale, che dopo la Commedia si attesta all’81%. Di queste 2000 parole, 1600 sono in comune con Dante; quindi è ragionevole affermare che quando parliamo correttamente usiamo la sua lingua, a maggior ragione perché molte parole sono state inventate proprio da lui e perciò definite dagli studiosi “dantismi”.

È quindi giusto dire che, per comprendere la lingua italiana, è consigliabile leggere Dante? Sì e no. L’italiano usato dall’autore, seppur alla base della nostra lingua, è comunque un italiano forgiato anche per dare musicalità al testo e quindi il linguaggio risulta, in parte, di difficile comprensione anche per una/un madrelingua italiano. È certo, però, che in Italia, non è inconsueta la citazione di frasi dantesche provenienti in maggior parte dalla Commedia, come ad esempio “Lasciate ogni speranza o voi che entrate” per sottolineare una difficoltà insormontabile, “Tanto gentile e tanto onesta pare” (da Vita Nuova) per descrivere una donna di cui si dubita la correttezza, “Galeotto fu il libro e chi lo scrisse” per enfatizzare la causa scatenante di un amore. Forse non tutti sanno che anche l’espressione “stare fresco” viene da Dante e precisamente dalla descrizione del IX cerchio dell’inferno in cui i dannati, macchiati del più grande peccato contro l’amore che per Dante è il tradimento dei parenti, della patria, degli ospiti e dei benefattori, sono immersi nel ghiaccio.

Dante, la Commedia e tutte le altre sue opere, possono costituire ancora fonte di studio e strumento essenziale per la comprensione della lingua, della cultura e della storia italiana, nonché dei comportamenti umani. E il verso del trentaseiesimo canto del Paradiso che chiude la Commedia sull’importanza e la centralità dell’amore, costante di tutta l’opera dantesca, ce lo ricorda.

 

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