Un mondo diverso di Giulia Longo

15 Dicembre 2021
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“Un mondo diverso”:
Hans Christian Andersen e i suoi Diari di viaggio da Napoli
di Giulia Longo

Elegante ed accurata la prima edizione italiana dei Diari di viaggio da Napoli di Hans Christian Andersen, tradotti da Bruno Berni e pubblicati dal vulcanico editore partenopeo Pasquale Langella. Un’edizione da favola, destinata a diventare una pietra miliare per i lettori del grande autore danese. I diari accompagnano i tre diversi soggiorni di Andersen a Napoli: il primo, di poco più di un mese, dal febbraio al marzo del 1834; il secondo, dal 25 febbraio al 15 marzo del ’41; e il terzo, dai primi di maggio al 23 giugno 1846. In ogni riga di essi traspare l’enorme ammaliante potere di Napoli sull’innocenza spesso indifesa di Hans Christian, che una sera, alla luce della sua fioca lampada, scrive in stile illuminato: «Napoli è più pericolosa di Parigi, perché lì fa freddo, qui invece il sangue arde».

Copenaghen, aprile 1833. Ha appena compiuto ventotto anni Hans Christian Andersen quando viene a sapere di aver ottenuto un generoso sussidio statale che gli permetterà, per la prima volta in vita sua, di partire per un autentico viaggio di formazione in giro per l’Europa, con tappa obbligata e inaggirabile in Italia.

In questo clima di entusiasmo estatico per l’imminenza del suo primo “Grand Tour”, Andersen lascia la Danimarca e attraversa in tutta fretta la Germania, arriva in Francia, si ferma per tre mesi a Parigi, prosegue verso la Svizzera e finalmente, il 18 ottobre 1833, giunge a Roma. I racconti del grande scrittore danese dalla città eterna sono piuttosto conosciuti, mentre le pagine scritte dopo il periodo romano – così come le avventure di lì in poi vissute – giacevano custodite nei volumi di Rejsedagbøger di cui solo pochi stralci erano finora noti in italiano.

È grazie al sapiente lavoro filologico dell’instancabile traduttore Bruno Berni che oggi possiamo leggere, in prima edizione italiana, i Diari di viaggio da Napoli di Hans Christian Andersen. Il titolo del volume è tratto da un’affermazione contenuta nel romanzo L’improvvisatore, pubblicato poi nel 1835 ma ampiamente ispirato dalle vicende italiane del 1833-34, nel quale il povero e incerto protagonista, Antonio, ragazzo romano pieno di sogni e di poesia, dice di sentirsi trasportato a Napoli, “in un mondo completamente diverso”. Una sensazione che accompagna Andersen nell’arco di tutti i soggiorni partenopei, puntualmente ricostruiti e accompagnati da 49 magnifici disegni dell’autore, per molti dei quali i luoghi ritratti sono stati identificati per la prima volta in occasione dell’agognata pubblicazione.

È sabato, il 15 febbraio 1834, il fatidico giorno in cui Andersen arriva a Napoli e non crede ai suoi occhi per il “mondo diverso” che vede muoversi senza sosta, variopinto e vivacissimo, dinanzi alle sue pupille incredule: «Siamo entrati nella città che per la sua vivacità e la sua vita mi ha fatto ripensare a Parigi […]. Siamo entrati in una bizzarra casa fatta di un numero infinito di stanze, suddivise in diverse parti, una vera arca di Noè». Non essendoci camere libere presso la cosiddetta “Casa tedesca” in via Santa Lucia, Andersen trova una sistemazione temporanea in zona Guantai nuovi, per poi trasferirsi pochi giorni dopo in via Speranzella, nel cuore dei Quartieri spagnoli. E dalla sua finestra disegnerà “La casa di fronte a via Speranzella”:

I Diari di viaggio di Andersen costituiscono, in tal senso, la testimonianza minuziosa della quotidianità napoletana dello scrittore, che vuole godersi la città a tutto tondo esplorandola in lungo e in largo, tra una pausa al Caffè d’Italia (attivo fino al 1844 come punto d’incontro di artisti e intellettuali, sito nell’odierna Piazza Trieste e Trento), visite diplomatiche e di cortesia, frequenti serate a teatro con brevi recensioni di opere di cui non capisce “nemmeno una parola”, pranzi luculliani e cene più leggere, ogni pasto trionfalmente accompagnato da almeno un bicchiere di Lacryma Christi o di vino del Falerno, dallo scrittore più volte magnificati nel corso dei suoi dettagliatissimi rendiconti.

Man mano che inizia a sentirsi a casa in città e così a “darle del tu”, Andersen matura una mappa di tragitti preferiti, posti che per lui presto diventano luoghi del cuore e che porterà con sé nell’immaginario favolistico in cui spesso li sublimerà in futuro. È il caso della Villa Reale, oggi Comunale, che allora costeggiava il mare, così come del molo, che all’epoca arrivava da piazza Municipio all’attuale Beverello: Andersen vi ci si recava quasi ogni giorno solo per vedere il Vesuvio da quella angolazione, nonché per godersi, spesso e volentieri, spettacoli folcloristici dettati dall’improvvisazione, non a caso poi ripresi e rimaneggiati di tutto punto ne L’improvvisatore.

La Grotta di Posillipo, la Tomba di Virgilio, il Castel dell’Ovo, sono tutti segnavia all’interno del centro città nei quali Andersen riesce a cogliere l’aspetto magico dato dal passato e quello incantato che ancora esercitano nel presente. Non mancano inoltre diversi riferimenti ai musei della città, alla reggia di Capodimonte come alla Cappella Sansevero, laddove una predilezione evidente è però riservata al Real Museo Borbonico, oggi Archeologico Nazionale, nel quale egli torna tantissime volte e un domani si sentirà anche in grado di guidare tra i suoi meandri dei giovani compagni di viaggio facendo loro da cicerone. Non mancano le isole, con una dichiarazione d’amore per Capri, in particolare per la sua Grotta Azzurra, rispetto alle più schive Ischia, Procida, e persino Nisida. Non mancano Pompei, Ercolano, Baia, Paestum, né la confessione di essere entrato in possesso di reperti provenienti dagli scavi tramite contadini privi di scrupoli che li rivendevano a mo’ di souvenir. Non mancano le scalate “emozionanti” sul Vesuvio, il vulcano della sua anima, i ritorni a casa a piedi o in asino, le gite ai Campi Flegrei, a Pozzuoli, Portici, alla Solfatara, Capo Miseno, al Lago d’Averno. Non mancano le gemme della costiera, sia amalfitana che sorrentina. Ed è proprio realizzato a Sorrento, il 7 marzo 1834, il disegno che fa bella mostra di sé in copertina.

Sono numerosi i richiami al senso di “timore e tremore”, all’attrazione vera e propria incarnata da Napoli dinanzi alla quale il timido danese spesso prova a indietreggiare, convinto di non dover cedere alla tentazione che la città rappresenta e che lo induce, in ogni modo, a capitolare. Sin dai primi giorni, egli ipotizza che il clima possa avere un qualche effetto dirompente sul suo sangue, scatenando una sensualità a lungo repressa che, risvegliata dalla conturbante città partenopea, rischierebbe di esplodere proprio come il Vesuvio, alla cui lava egli paragona più volte il suo stato emotivo in eruzione:

«Il sangue mi saliva agli occhi, un ardore sensuale che non ho mai provato mi ha spinto fuori, non sapevo nemmeno io dove stavo andando, ma mi tenevo lontano dalla via Toledo per evitare i ruffiani, nella sera buia sono sceso giù al molo e mi sono seduto su una pietra di fronte al mare che si stava alzando. Il fuoco rosso scorreva giù dal Vesuvio. L’aria non mi rinfrescava, ardevo».

«Ho il sangue in forte agitazione. Enorme sensualità e lotta con me stesso. Se davvero è peccato soddisfare questa potente libidine, allora fai che io la sconfigga. Sono ancora innocente ma il mio sangue brucia, in sogno tutto il mio intimo ribolle. Credo che il Sud rivendichi il suo diritto!»

Hans Christian Andersen è a Napoli da meno di dieci giorni quando scrive all’amica del cuore, Henriette Wulff: «Soltanto adesso so che cos’è l’Italia! Sì: »Vedi Napoli e poi muori! « […]. L’Italia è indescrivibile! I luoghi vanno visti, l’aria va respirata, come si fa con i baci più beati! Si può impazzire quaggiù. Di tutte le città che ho visto finora, Napoli è in cima».

L’adagio famoso che incorona la bellezza suprema di Napoli come massima espressione della vita era stato rispolverato da Goethe durante il suo Viaggio in Italia, ed era allora un proverbio sulla bocca di tutti, italiani e stranieri. Tra l’altro, in quella capitale culturale che era Napoli, Andersen conosce anche il nipote del gigante letterario tedesco, Walter: «Goethe dice che “così come chi ha visto un fantasma non può mai essere felice, così chi ha visto Napoli non può mai essere infelice!”».

C’è dunque da immaginare un Hans Christian Andersen indicibilmente felice nella sua Napoli, una città che amava a tutte le ore del giorno e della notte. Il traduttore e curatore del prezioso volume, Bruno Berni, sottolinea il legame tra i soggiorni napoletani e le opere poi pubblicate da Andersen che ne contengono, “romanzate”, le esperienze private effettivamente vissute. Così succede con Il bazar di un poeta, capolavoro pubblicato nel 1842, l’anno dopo il secondo soggiorno partenopeo. O con una delle sue fiabe più misteriose, L’ombra, scritta nella sua stanza in via Santa Lucia il 9 giugno 1846, stremato dal caldo torrido di quei giorni.

Brilla, infatti, come una luce nell’ombra, Hans Christian Andersen. E forse è proprio così che vorrebbe essere ricordato, “indicibilmente felice” nella sua Napoli, in una notte “infinitamente bella”. In un pensiero talvolta citato anche a sproposito, tratto da una lettera all’amica Henriette, Andersen adotta il verbo danese “at spøge” conferendogli il tempo futuro, e le scrive:

«Naar jeg døer engang vil jeg spøge i Neapel, her er især Natten saa uendelig smuk».

Il verbo “at spøge” contiene in sé sia il ghigno dello scherzo (spøg), che canzona per gioco, sia quello dello spettro (spøgelse), dunque del fantasma privo di contorni che infesta (spøger) un ambiente con la sua presenza impalpabile. Sembra contenere tutto questo il desiderio di Andersen, memore dell’esperienza napoletana e dei tanti saltimbanchi, ruffiani, improvvisatori visti per strada e nella piazza sul molo, dove amava sedersi al chiaro di luna e stare a guardare il continuo spettacolo naturale. Estasiato dinanzi al Vesuvio senza poterlo emulare, attratto a dismisura da Napoli senza poterci restare, capovolgendo fedelmente il suo saggio motto secondo cui “vivere è viaggiare”:

«Quando un giorno morirò, io vagherò a Napoli, qui soprattutto la notte è così infinitamente bella».

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“Fiabe e storie” traduzione italiana di Bruno Berni-Roma, Donzelli 2014

“L’Improvvisatore” traduzione italiana di Bruno Berni-Roma, Elliot 2013

“Il bazar di un poeta” traduzione italiana di Bruno Berni- Firenze, Giunti 2005

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