“Rønhave” Il giardino delle sorbole, Immortellevej nr.11 di Grazia Mirabelli 

4 Marzo 2023
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“Rønhave” Il giardino delle sorbole, Immortellevej nr.11 
di Grazia Mirabelli 

Ci si può arrivare anche dal mare ad Immortellevej nr.11, costeggiando il Porto di Vedbæk, lì dove prende forma una piccola cala. Qualche gradino scolpito nella roccia si prolunga in un sentiero, conducendo su alla spianata prospiciente la casa. Qui un tempo c’era il giardino delle sorbole di cui oggi non c’è più traccia.

Noi avevamo avuto la fortuna di farlo qualche anno fa questo percorso e il ricordo è ancora lucido e vivace, come fosse ieri.

La casa sulla spianata ospita oggi il Collegio Redemptoris Mater, uno dei 125 sparsi in tutto il mondo. Realtà voluta da Papa Giovanni Paolo II, santo dal 2014, la cui foto un po’ sbiadita ne testimonia la visita alla struttura nel 1989.

“La casa fu fatta costruire nel 1929 da Axel Olaf Andersen, allora direttore della compagnia di navigazione DFDS come sua residenza estiva.” -ci racconta Padre Daniel Jimenez Raga, spagnolo, formatosi anche lui in questo Collegio che al momento accoglie 12 seminaristi di varia nazionalità e di cui dall’ottobre del 2020 è il rettore. – “Questi seminari, detti anche collegi, rientrano nel quadro del Cammino Neocatecumenale ed hanno tre caratteristiche in comune. Sono internazionali, provenendo i seminaristi che ne fanno parte da tutto il mondo, diocesani, perché i preti che vi vengono formati sono incardinati nella diocesi di appartenenza, e missionari perché una volta compiuti gli studi i sacerdoti sono disponibili ad essere inviati in qualsiasi zona del mondo. La formazione filosofico-teologica, che un candidato al sacerdozio riceve, si compie in due momenti, iniziando con un biennio qui in seminario, con professori provenienti dall’estero, perché in Danimarca l’Università offre tante facoltà di Teologia Luterana ma non ha una facoltà di Teologia Cattolica. I nostri seminaristi completano quindi il triennio a Roma, con l’ultimo anno di teologia, presso la Pontificia Università Gregoriana che ci ha accolto, creando insieme a noi questo percorso e con la quale provvidenzialmente abbiamo una buona relazione.”

La Chiesa, la più antica forma di globalizzazione
Il racconto di Padre Daniel continua “La chiesa cattolica in Danimarca conta oggi circa 57.000 presenze ufficiali, mentre le stime fanno pensare a più di 130.000 presenze reali, questo in un paese che ha la particolarità di avere una chiesa molto internazionale, pur restando sempre a maggioranza luterana, almeno di battesimo. Ancora oggi a Copenaghen, la media è di 75/76 % di battezzati poi, come questi vivono la propria fede, se hanno fede, è difficile capirlo. Però siamo in una nazione luterana, in più la Danimarca resta oggi l’unico, tra i paesi di ceppo linguistico scandinavo, ad essere confessionale, che non ha cioè separato Chiesa e Stato.
La crescita dei cattolici è soprattutto legata alla mobilità della popolazione, anticamente si nasceva e si moriva nello stesso posto, oggi con la globalizzazione è tutto diverso. Ma la più antica forma di globalizzazione è e resta proprio quella della Chiesa, che per sua natura è stata sempre globale, come indica il nome “cattolico” la cui preposizione kata, che ne è all’origine, significa riguardo, concernente-e olos- tutto, intero. Perciò cattolica indica ciò che riguarda tutto, intendendo tutto il mondo. Questo consente anche un costante processo di rinnovamento all’interno della Chiesa, che sarà pur sempre un tornare a sé stessa, alle proprie origini, perché un rinnovo non può mai essere la negazione dell’intenzione iniziale. La modernità della chiesa è consentita dalla tradizione, dal latino consegna, che sulla premessa di una dimensione di accoglienza, permette il passaggio da una generazione all’altra della Sacra Scrittura.

Questa casa è un centro di formazione per presbiteri che poi andranno nelle parrocchie e lavoreranno con i fedeli, compresa la comunità cattolica degli italiani. Oggi il concetto stesso di missione è cambiato, terre di missione tradizionali come Asia e Africa non sono più quelle che si intendevano un tempo, la realtà è che oggi, in particolare l’Africa, proprio per il capillare lavoro fatto sul territorio, a breve diventerà il continente con più cattolici al mondo.

Noi che siamo stati formati qui, 15 presbiteri, tra cui anche diversi italiani, padre Fabrizio, il primo in ordine di tempo, e poi Samuel, Roberto, padre Gilberto, siamo tutti missionari per la dimensione di missionarietà implicita che ciascuno di noi ha acquisito in questo percorso, e molti sono già al lavoro da tempo nelle varie parrocchie della diocesi, tra cui la parrocchia di Jesus Hjerte a Stenosgade, dove la Santa Messa viene celebrata in italiano. Il mio lavoro invece si svolge nella dimensione di formatore, e insieme ai parroci di paesi come Svezia e Norvegia lavoriamo per riportare alla Chiesa coloro che se ne sono allontanati”.

Insieme in un magnifico picnic
Ne è trascorso di tempo da quando come Comites organizzammo un picnic e fummo accolti qui, ad Immortellevej nr.11, era il 3 giugno 2007. Molti di noi, un centinaio, restano ancora immortalati in quelle immagini. Una giornata indimenticata, le cui foto raccolte in un vecchio CD testimoniano aria di festa. La Santa Messa sulla spianata antistante la casa, condividendo cibo cotto alla brace dal maestro Achille Melis, sdraiati sui prati in un clima, anche meteo, molto mediterraneo. Correvamo dietro ai nostri bambini, mescolandoci ai giovani seminaristi, cantando insieme e sentendoci tutti un po’ meno lontani da casa. C’è anche un padre Daniel, allora giovane seminarista, in quelle immagini. Da allora ad oggi, ne ha fatta tanta di strada, anche se in questo posto, tanto pregno di spiritualità, tutto sembra rimasto fermo ad allora. Mentre fuori da qui tanto è cambiato.

Vivere “altrove” un concetto condiviso
Mentre salutiamo padre Daniel non possiamo fare a meno di riflettere su quanto il vivere “altrove” sia alla base del concetto di missione che questi giovani seminaristi, un giorno missionari, vivranno nelle loro vite.
Un concetto non troppo distante dalla dimensione di chi ha scelto di vivere “altrove”, decidendo di lasciare quell’ambiente in cui da bambino si era trasformato in uomo, senza mai staccarsi dalla propria storia personale, dai propri punti di riferimento, da quella lingua con cui aveva imparato ad esprimere le prime emozioni. Una scelta non fatta per missione, certo, ma altrettanto umana e coinvolgente.

Una scelta in cui ciascuno, con lo stesso impegno e passione è partito, alla ricerca di un proprio obiettivo da perseguire.

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