L’evoluzione dello hygge: storie di connessione creativa tra Italia e Danimarca di Luca Morelli

15 Ottobre 2023
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L’evoluzione dello hygge: storie di connessione creativa tra Italia e Danimarca
Intervista a Marco Sammicheli, autore di Danish Diaries – Diari Danesi
di Luca Morelli

Sentiamo Marco al telefono mentre si trova nella sua terra natìa. Sembra essere sempre in viaggio, lui stesso si definisce un migrante temporaneo. Marchigiano, di Fano, con radici a Siena, dove si laurea. Qui, l’incontro con l’ingegnere/designer Hisao Hosoe apre le porte al mondo del design. Il successivo periodo di studi alla Bauhaus di Weimar consacra la sua crescente passione. In Germania incontra la sua futura moglie, Maria, danese. Da quel 2003, la vita di Marco è divisa tra Italia e Danimarca

Hai definito l’opera una sorta di doppio diario: i tuoi ultimi venti anni, e un’analisi quasi storica della vita intrecciata di danesi in Italia e italiani in Danimarca. Perché proprio la forma del diario e questo titolo?
Inizialmente volevo fare qualcosa di diverso, un saggio sugli interni e chiamarlo “La tirannia dello hygge”. Quando vai a trovare amici e parenti ad un certo punto scatta il momento dello “hygge”, fatto di coperte, calzini di lana, tazze di caffè caldo; si fa nido. Ma a me non sempre andava, o pareva naturale. Inoltre fuori dalla Danimarca era diventato un trend, un po’ esausto – costruire un’estetica basata su piccoli sentimenti e azioni. Mi sembrava una forzatura. Chiaramente, un titolo del genere
avrebbe dato un’accezione negativa al libro, così ho cambiato idea.

Infatti, è l’opposto! Anzi, è quasi un’esaltazione di danesi ed italiani. E della loro cooperazione.
Quando due culture così diverse si incontrano in alcuni punti danno vita a storie fantastiche. Nel campo artistico e creativo si sono create, e continuano a crearsi. Diari Danesi nasce per festeggiare questa memoria e per rispondere, anche a un’esigenza personale. Io non parlo molto bene danese, per cui trascorro i miei momenti pubblici ad ascoltare in silenzio. Un contrappasso, visto che il mio lavoro in Italia è basato sulla parola: scritta, studiata, parlata. Durante le conversazioni in Danimarca, di cui capisco ancora solo una piccola parte, ogni volta dovevo giocare d’immaginazione per comprendere. Successivamente il ricordo diventa curiosità, occasione di studio e ricerca. Non sapere la lingua ha innescato un motore. Da queste scoperte ho selezionato tante storie che collegavano mondi creativi italiani e danesi. Ho pensato fosse necessario raccontarle. E poi dovevo spiegare alle mie figlie perché il papà è silenzioso in Danimarca.

Anche nel libro enfatizzi questa diversità ed unione, scrivendo: “Queste due terre conoscono, ognuna a suo modo, il peso del fare e il contenuto dell’essere”. A cosa ti riferisci?
Un esempio è il concetto di sfumatura. La cultura italiana ha un’ampia gamma di interpretazioni semantiche di questo lemma rispetto alla rigidità danese. Forse, perché in Italia è stato fondato il diritto, disciplina per cui quando scrivi ed elabori un pensiero ne applichi tutte le dimensioni, con le sue ombre…Per fare un esempio, la società italiana e quella danese hanno distanti modalità interpretative del valore della cosa pubblica.
Un tema che coinvolge la vita quotidiana, dalla sicurezza all’ordine pubblico, vere e proprie ossessioni in Danimarca. Negli ultimi vent’anni, da quando frequento Copenaghen, la proverbiale ospitalità e tranquillità della capitale si è incrinata e forme di disagio sociale hanno fatto chiudere i danesi che un tempo avevano insegnato all’Europa cosa significasse costruire comunità con chi era più sfortunato o proveniva da contesti problematici; penso all’Afghanistan e all’Ex Jugoslavia. Il nemico della società danese è la noia: è un paese con tanto benessere ma dove non succede tanto, non c’è polarità tra energie contrastanti, manca una sorta di elettricità socioculturale.
Per cui l’arte, il design e la comunicazione dell’Italia, almeno fino alla fine degli anni ’80, sono stati un’attrazione, una via di fuga. Il Belpaese era il luogo fuori dalle regole dove la creatività plasmava uno stile di vita. E forse è ancora così – come succede nel film “Italiensk For Begyndere”, dove andava in scena uno scontro tra la creatività italiana e l’imponderabilità degli elementi danesi, come il fatto di non emergere più degli altri. Questo per un creativo può essere un ostacolo.

Al Danish Architecture Center di Copenhagen è centrale la figura di Jan Gehl.
È stato co-autore della trasformazione della capitale partendo da un viaggio in Italia, nel ’60, per capire come si vive lo spazio pubblico. Secondo te, città come l’attuale Copenhagen, sono pura utopia per le maggiori città italiane? Quali sono le maggiori differenze?
Lo sguardo all’impianto urbanistico italiano è tipico negli studiosi e nei progettisti danesi, perché ammirano e mutano aspetto dello spazio pubblico latino e la capacità di vivere l’esterno. Gehl porta questo carattere. L’idea del patio, della piazza e dei portici ha affascinato questa città, che non sempre può vivere l’esterno ma è pensata con tanti interni ibridi. In Danimarca lo spazio pubblico è gestito in maniera democratica, inclusiva e orizzontale – così come è orizzontale, fisicamente, il paese. Tutti aspetti che facilitano la mobilità.
La recente svolta di Copenaghen è stata la metropolitana. Ha reso lo sviluppo delle periferie gestibile e graduale. La grande capitale è rimasta una città facile da navigare.

Tornando al libro, perché spiegare che Olivetti celebra Arne Jacobsen, o che Thorvaldsen era il grande rivale di Canova, è importante ora?
Avere un catalogo di possibilità da cui mutuare comportamenti lo trovo utile ed interessante.
Thorveldsen in Italia si faceva chiamare Alberto. La sua lunga permanenza lo aveva reso un romano di Via Sistina. Tornò in Danimarca per prestare i soldi al Re, acquisendo potere ed agio – tanto da permettersi azioni dirompenti come far accedere, per la prima volta nella storia, le donne all’Accademia di Belle Arti.
Ma ci sono anche storie come quella di Eugenio Barba da Gallipoli, che crea un’avanguardia del teatro europeo in un paesino sperduto della Danimarca. Sono vicende frutto di una dinamica modernista che probabilmente non si ripeteranno con le stesse caratteristiche. Tuttavia vanno studiate per prendere spunti. Una curiosità: ad ogni presentazione del libro si sono, sempre, fatte avanti diverse persone che mi hanno raccontato nuove storie che potrebbero far parte di una seconda puntata, di un nuovo libro.

Forse sarebbe il caso di mettere in programma Danish Diaries 2?
Nell’attesa dell’annuncio, è possibile acquistare Danish Diaries – Diari Danesi presso humboldtbooks.com.
Il libro è scritto, in un unico volume, sia in italiano che in inglese.

Danish Diaries, di Marco Sammicheli, 2022, ed. Humboldt Books, 224 p., illustrate.

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