EUROPA A TAVOLA: LA SFIDA DELLA DANIMARCA
di Rosanna Sabella
Cibo come strumento di dialogo.
E quindi di pace. Le nuove frontiere dell’alimentazione – in Italia come in Danimarca – passano per la sostenibilità ed il rispetto della biodiversità. Per salvare il Pianeta tutelando animali e ambiente. E, in primis, l’uomo, la sua salute, il suo benessere. Nei Paesi avanzati come in quelli emergenti.
Costruire una nuova idea di mondo a partire dal cibo.
È la proposta lanciata dal documento di Roma elaborato dall’Assemblea Nazionale di Slow Food Italia.
Una riflessione sull’aggravarsi dei mali del mondo: guerre, autoritarismo, crisi climatica e un sistema alimentare concentrato nelle mani di pochi.
Quasi un miliardo di persone non ha regolare accesso al cibo – ha dichiarato Barbara Nappini Presidente di Slow Food Italia – Questo ci dice quanto un cibo buono pulito e giusto sia ancora un elemento fondamentale che attraversa la nostra società e quanto ancora ci sia da fare per risolvere i paradossi che sono nel 2025 inaccettabili.
Serve un nuovo umanesimo – avverte Slow Food – che può ripartire proprio dal cibo in quanto bisogno comune per otto miliardi di persone, legame con la Natura ed espressione di cultura.
“Noi abbiamo il dovere morale di consegnare ai nostri figli e ai nostri nipoti quella biodiversità che i nostri vecchi ci hanno tramandato – ha affermato Nicola Petrini, fondatore di Slow Food Italia – e che rappresenta una garanzia per il futuro”.
Cibo come motivo di dialogo e quindi di pace.
Nessuna meraviglia dunque che la stessa Danimarca – che dal 1° luglio ha assunto la presidenza del Consiglio dell’Ue – punterà moltissimo sull’educazione green, anche a tavola, spingendo verso un’alimentazione più vegetale.
Una tendenza che nella vicina Germania – a dispetto degli scettici – è già realtà. E coinvolge un numero sempre più nutrito di persone.
Dalla New Nordic Diet ai cibi “plant-based”: come si è sviluppata la politica vegetale danese
Tradizionalmente, la carne era un alimento centrale sulle tavole dei danesi, con il maiale e il manzo come protagonisti. Il pesce, l’aringa in particolare, immancabile, soprattutto nelle zone costiere.
Anche i latticini (burro, panna formaggi e altri prodotti lattiero caseari) hanno sempre rappresentato – e per ovvie ragioni – un elemento fondamentale sulle tavole dei danesi. E che dire dello street food, i tipici camioncini che vendono salsicce (pølser) molto popolari nelle grandi città e nei villaggi così come lo smørrebrød e il böfsandwich (una variante dell’hamburger).
Ebbene, reggetevi forte. Tutto questo sarà presto un vago ricordo sostituito dalle nuove tendenze dettate dalla New Nordic Diet la dieta promossa dagli specialisti che suggerisce un maggiore consumo di frutta, verdura, cereali integrali e pesce, e una riduzione della carne a favore di un maggior benessere di persone animali e ambiente.
Niente a che vedere con le definizioni vegano/vegetariano che appaiono riduttive e rischiano di confinare certe tendenze in categorie ristrette e selettive. Piuttosto l’avvio di una strategia di “diplomazia plant-based” destinata a diventare modello per Bruxelles.
La Danimarca non è nuova a questo tipo di iniziative. Lo abbiamo ampiamente constatato già sulle passerelle dove di recente Copenaghen con i suoi modelli di sostenibilità attraverso il recupero di materiali di scarto, è diventata anche nel settore della moda il punto di riferimento per gli addetti ai lavori in tutta Europa e nel mondo.
Da qualche anno infatti il governo sta puntando molto sull’educazione e sulla creazione di una cultura eco-compatibile nei settori fashion e lifestyle – quindi anche in ambito alimentare – che prediliga i cibi a base vegetale.
L’obiettivo di Copenaghen è chiaro: costruire un settore agricolo capace di ridurre le emissioni, generare lavoro qualificato e aprire mercati internazionali. Tra le misure adottate finora figurano insieme all’aggiornamento delle linee guida nutrizionali il sostegno alle startup e la formazione continua per il personale di cucina professionale. Diverse organizzazioni hanno già unito le forze per dare vita all’iniziativa “Danish Plant-Based Diplomacy”, che mira a ispirare la Commissione Europea, il Parlamento e gli Stati membri in tale direzione. Una serie di azioni concrete che prevedono, tra l’altro, l’invio di delegazioni presso parlamenti e ambasciate e la partecipazione a eventi di networking e tavole rotonde.
La Danimarca è piccola. Una filiera alimentare ecosostenibile, una assoluta priorità
Nel 2021, il Parlamento e il governo danesi hanno stipulato un accordo per trasformare il proprio sistema alimentare in una direzione basata su prodotti vegetali e biologici, stanziando a tal fine circa 200 milioni di dollari a tal fine. Poco meno della metà sono stati destinati agli agricoltori che optano per le coltivazioni a base vegetale. Il resto viene utilizzato per finanziare nuovi progetti, come la sperimentazione della “nudge theory” ovvero la riprogettazione delle mense per incoraggiare in modo discreto i consumatori a scegliere più opzioni a base vegetale, ma anche per il lancio di un incubatore di startup per aziende a base vegetale presso l’Istituto Tecnologico di Danimarca. Sono stati in molti a impegnarsi per trasformare queste idee in politiche, ma Rune-Christoffer Dragsdahl, segretario generale della Vegetarian Society of Denmark, ne è stato indiscutibilmente il leader. Dragsdahl è diventato il secondo dipendente della Società nel 2016, dopo essere rimasto senza stipendio per circa il primo anno. Da allora, l’organizzazione è cresciuta fino a impiegare 22 dipendenti.
L’arma della diplomazia
Come ha fatto una piccola organizzazione con scarso peso politico a tracciare la strada verso un sistema alimentare più sostenibile e umana? – si chiedono in molti.
Il segreto: la diplomazia. Grazie al suo approccio inclusivo ed evitando i termini vegano/vegetariano il piano ha ottenuto ampio appoggio dalle forze politiche, comprese quelle di centro-destra. Il programma “Plant-Based Foods Action Plan” ha previsto due fasi di finanziamento di cui la prima ha sostenuto 35 progetti come la formazione di chef vegetariani e corsi dedicati ai legumi nelle scuole agricole. Le risorse hanno tuttavia superato ampiamente le domande, evidenziando un settore affamato di investimenti. La tabella di marcia danese prevede anche una rivoluzione agricola. Entro il 2030, infatti, sarà introdotta una tassa sulle emissioni dagli allevamenti – la prima al mondo – e il 10% delle terre agricole sarà convertito in foreste, piantando fino a un miliardo di alberi. L’obiettivo di Copenaghen è duplice: ridurre l’impatto climatico dell’agricoltura e creare opportunità economiche – fino a 27.000 nuovi posti di lavoro – attraverso un approccio strategico e collaborativo.





