Quando a Natale le ambientazioni scandinave ci affascinano e l’immaginazione ci porta oltre i confini… di Emma Fenu

23 Dicembre 2019
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Quando a Natale le ambientazioni scandinave ci affascinano e l’immaginazione ci porta oltre i confini…
di Emma Fenu

Intervista a Bruno Berni, traduttore, per la casa editrice Iperborea, della collana Fiabe nordiche, il cui sesto volume è dedicato alle Fiabe norvegesi

A Natale si torna bambini, si dice, intendendo che, in tale periodo dell’anno, anche gli adulti sono più inclini alla capacità di immaginazione e al desiderio di un focolare, anche metaforico, attorno al quale far danzare storie e fiabe, quelle che abbiamo appreso dall’infanzia, nonostante non siano destinate, originariamente, ad un pubblico giovanissimo.
Tornare “bambini”, implica, in senso antropologico, anche il riappropriarsi del contesto mitico di testi di tradizione orale molto antichi che raccontano l’Uomo nella sua essenza primaria, in un tempo lontano, più ancora dell’Ottocento in cui si diffusero, nell’anno zero di ogni “c’era una volta”.
In occasione della recente pubblicazione di Fiabe Norvegesi da parte di Iperborea, casa editrice fondata nel 1987 per far conoscere la letteratura dell’area nord-europea in Italia, ho avuto il piacere e l’onore di intervistare il traduttore Bruno Berni, esperto in narrativa popolare nordica, per ricordare che le fiabe non sono un gioco da bambini: sono la storia in simboli e archetipi, spesso intrecciata in fili che attraversano spazi infiniti, dei popoli.
Le fiabe sono espressione autentica della cultura di un popolo: cosa emerge dalle fiabe norvegesi e, più in generale, dalle fiabe scandinave? Quali sono i topos narrativi?
La narrativa popolare è espressione autentica della cultura di un popolo, è vero, ma allo stesso tempo è anche molto normale ritrovare temi comuni almeno alle fiabe di grandi aree geografiche come quella europea, talvolta anche oltre. Per le loro caratteristiche di letteratura originariamente orale, le fiabe assorbono facilmente temi provenienti anche da lontano, che vengono assimilati, trasformati, riconsegnati di continuo a una nuova tradizione.
È per questo che spesso troviamo gli stessi temi in aree geografiche anche molto distanti tra loro. Con questo non intendo le strutture e gli intrecci, che gli studiosi hanno identificato in un numero tutto sommato limitato. Le ripetizioni – in numero di tre, in genere – sono un elemento comune, come è comune la presenza di un protagonista, di un antagonista, di uno o più aiutanti, di una prova.
Del resto questo riguarda anche un’osmosi dalla letteratura scritta a quella orale, e ho l’impressione che più una fiaba orale è stata fissata in raccolta in un periodo tardo, più frequente è la presenza di temi che derivano palesemente dalla letteratura scritta.
Le raccolte di fiabe nordiche che sto pubblicando con Iperborea sono scelte dalle prime raccolte “nazionali” pubblicate nel corso dell’Ottocento, quando, a seguito dell’opera dei fratelli Grimm in Germania, molti cominciarono a fissare la tradizione orale in volume. Ma anche qui ci sono tracce per esempio delle fiabe di Perrault, che furono raccolte quasi due secoli prima ed evidentemente tradotte e ampiamente diffuse anche al Nord: ne ritroviamo tracce in alcune fiabe norvegesi, ma soprattutto
– Il gatto con gli stivali, per esempio – in alcuni testi lapponi che risentono certamente del fatto di essere stati raccolti tardi, nel Novecento.

Alcune fiabe sono comuni a molte culture, a volte mantenendo quasi intatto l’intreccio, a volte con peculiari finali, spesso non lieti. Cosa attrae di Cenerentola, figura su cui si sono concentrati antropologi e psicologi?
Cenerentola è una delle fiabe europee più diffuse, credo. Ne esistono versioni un po’ ovunque, con uno schema narrativo ricorrente, anche se per esempio cambiano gli oggetti del riconoscimento: un bracciale, una cavigliera, oppure la ben nota scarpetta. Esistono anche versioni in altri generi: teatro, cinema, scultura, musica, balletto. Le versioni più note all’origine della tradizione sono quella di Perrault, sicuramente diretta a un pubblico più raffinato, e quella dei fratelli Grimm, che invece è un vero testo di origine popolare.
Ma la grande propagazione è avvenuta anche in epoca recente con la versione Disney, aspetto comune a molte fiabe: si pensi a Biancaneve, alla Sirenetta. Se da un lato l’ingresso dei temi delle fiabe nel cinema d’animazione ha rappresentato la loro definitiva diffusione per generazioni, in quel caso è avvenuta anche una domesticazione – un’americanizzazione molto profonda, che ha fissato i modelli di riferimento. Portando alcuni testi a finali diversi: si pensi al finale non necessariamente lieto della Sirenetta di Andersen, che ha un carattere quasi religioso – la sirena ottiene di poter conquistare un’anima, ma perde il principe – e a quello invece di Disney, dove nella migliore tradizione la sirena sposa il principe.
Nelle Fiabe norvegesi, appena uscite da Iperborea, c’è un testo – Kari Vestedilegno – che ricorda molto Cenerentola, ma soprattutto la Pelle d’Asino di Perrault. Altri invece hanno un personaggio tipico del nord (Norvegia e mondo Sami), chiamato Askeladden (Ruobba in Sami), che la prima traduttrice di quei testi, Alda Castagnoli Manghi, tradusse come Ceneraccio – nome che ho conservato – con un chiaro riferimento a Cenerentola, sebbene sia un personaggio maschile dal carattere diverso. Ma la narrazione per molti versi è la stessa e in alcune versioni c’è anche l’oggetto che facilita il riconoscimento da parte della principessa.

Cosa ci affascina delle fiabe e delle atmosfere con boschi, laghi ghiacciati e cime innevate? Quanto delle fiabe nordiche confluisce nel nostro immaginario fantastico, facendoci tornare bambini nel tempo mitico in cui sono ambientate?
Una delle caratteristiche delle fiabe nordiche è rappresentata proprio dalle ambientazioni, ed è divertente vedere come esse cambiano anche all’interno dell’area geografica scandinava. Perché è normale che nelle fiabe lapponi troviamo spostamenti in slitta e piane innevate, in quelle norvegesi boschi e montagne impervie, in quelle danesi un paesaggio sostanzialmente piatto, e tranne casi particolari i castelli dei re appaiono più come grandi fattorie, mentre è riservato agli esseri fantastici il possesso di castelli turriti e isolati. In generale però i paesaggi alimentano certamente il nostro immaginario fantastico, come lo alimentano gli esseri magici che sono spesso diversi da quelli della narrativa popolare di casa nostra. Troll e giganti riportano l’immaginario a un mondo lontano, mentre infine quella che si conquista è sempre la principessa. E la tradizionale metà del regno.
Forse l’aspetto del paesaggio è proprio ciò che più colpisce il lettore italiano – almeno quello non di area alpina o appenninica –, meno avvezzo di quello norvegese a paesaggi montani pieni di neve.

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