Da poco in libreria “Caminito” di Maurizio De Giovanni, … di Monica Lucignano

30 Dicembre 2022
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Da poco in libreria “Caminito”di Maurizio De Giovanni,
sullo sfondo di una Napoli anni ’40, e per non dimenticare
di Monica Lucignano

A distanza di tre anni da quello che era annunciato come l’ultimo capitolo della serie dell’amatissimo Commissario Luigi Alfredo Ricciardi, Maurizio De Giovanni dà alle stampe “Caminito”, pubblicato come sempre da Einaudi. Incontriamo l’autore per approfondire la storia di questo e di altri suoi fortunati personaggi, alcuni dei quali hanno trovato ottima accoglienza anche in Danimarca. Scopriamo così che dietro lo scrittore, l’appassionato lettore nei reading letterari, il personaggio famoso tradotto in molti paesi del mondo, c’è l’uomo. C’è la persona con la sua generosità nel raccontarsi, con la sua disponibilità all’incontro con culture diverse, c’è l’ardente amante di Napoli, città dalla cultura trimillenaria.

Lojacono, l’ispettore de “I bastardi di Pizzofalcone”, è un personaggio piuttosto noto in Danimarca, sia per la traduzione in inglese de “Il Metodo del Coccodrillo” sia per la fortunata serie televisiva; quanta italianità c’è in personaggi come lui?
Devo dire, intanto, che io sono napoletano, e non è un dato marginale né superficiale, anzi diventa importantissimo in fase narrativa. Vale per Ricciardi, per Mina Settembre, per Sara, ma vale molto anche peri Bastardi di Pizzofalcone. I Bastardi sono un poliziesco corale, e non ce ne sono molti; in Italia sono rarissimi, mentre nella narrativa gialla internazionale direi che Ed McBain con il suo “87mo distretto” sia il principale riferimento. La narrativa corale si adatta particolarmente a questa città, perché Napoli è città frammentaria, che difficilmente risulta accessibile, a meno che non si accetti la pluralità dei punti di vista. I Bastardi sono proprio questo: nel loro essere una squadra, offrono l’accesso ad una varietà di punti di vista. Oltre a Lojacono, si pensi ad Alex e alla problematica dell’identità sessuale, a Ottavia e alla vicenda con il figlio disabile; portare nel poliziesco tutti questi punti di vista aiuta moltissimo a raccontare la città. Paradigmaticamente intendendo Napoli come l’Italia, perché Napoli è un universo che racchiude in sé tutto quello che c’è in questo paese, possiamo dire i Bastardi diventano una chiave importante per raccontare questo paese, poiché non è possibile farne una lettura unitaria, ma solo attraverso tutti questi punti di vista.

Hai definito Napoli come “L’unica città sudamericana che non è in Sudamerica”; la definiresti ancora così?
Io credo che Napoli abbia una caratteristica urbanistica che la rende diversa da ogni altra città: Napoli è stretta, quindi è sovrapposta.
Le classi sociali non sono fisicamente distanti le une dalle altre (come avviene in altre città italiane come Roma e Milano) dove dal centro alla periferia c’è un degradare talmente costante che tu non ti accorgi dei passaggi verso realtà diverse. Napoli, invece, può avere all’interno dello stesso condominio ben quattro distinte classi sociali.

Prendiamo, ad esempio, Via Toledo a monte e a valle: se ti sposti di un metro, in un senso o nell’altro, attraversi un confine: altro cibo, altra lingua, altro codice della strada. Se è vero che è difficile vivere a Napoli dal punto di vista civile, è vero anche che questo la rende un paradiso, meraviglioso e unico, dal punto di vista narrativo.

Hai detto “Non scriverei più se mi impedissero di incontrare i miei lettori”.
Si, io sono un estroverso! È vero che la lettura e la scrittura sono due attività solitarie che, però, ti permettono di viaggiare in altri mondi ma è anche vero che tu non puoi condividere l’esperienza del libro. A differenza di quanto può avvenire per un film, di cui puoi parlare sia prima che dopo. Perciò, il momento della condivisione con i lettori è importante: dà benzina e sono quei momenti che ti danno la forza di fare il resto.

Che rapporto hai con i lettori all’estero? E che differenze hai riscontrato con quelli italiani?
Amo molto incontrare i lettori all’estero, mi considero uno scrittore fortunato perché, essendo un autore seriale ho un grado di affezione maggiore rispetto a quegli autori che non hanno percorsi simili. Lo scrittore seriale diventa una porta per incontrare un amico e questo cambia la percezione del lettore nei miei confronti.
Sono, inoltre, molto tradotto in Francia, Spagna, UK e USA e ciò mi permette l’accesso ad un grande pubblico. Io non trovo grandi differenze tra i lettori italiani e quelli all’estero, sono sempre curiosi delle storie e dei personaggi, hanno la stessa luce negli occhi.

Il 29 novembre è uscito un nuovo, attesissimo capitolo delle vicende del Commissario Ricciardi, che prende il titolo da uno dei tanghi più struggenti di Carlos Gardel: “Caminito”. Rispetto a Lojacono, Luigi Alfredo sembra essere, per te, una creatura più impegnativa. In quale Napoli si troverà il lettore, in questo nuovo romanzo?
Intanto ci sono delle differenze importanti tra i due personaggi; Ricciardi è più italiano, fa appello ad una memoria collettiva che rivisitiamo molto malvolentieri perché è quel periodo in cui l’Italia diventava una sorta di criminale internazionale, all’interno della quale le leggi razziali del 1938 danno il via ad un’escalation che ha portato poi alla guerra. Io vorrei che si avesse maggior memoria adesso, in questo particolare periodo storico, perché mi pare di vedere una grave perdita di memoria nel nostro paese. Ricciardi affonda il coltello ancora di più in questa piaga; la vicenda narrata in “Caminito” ci porta nel 1939, un anno dopo la promulgazione delle leggi razziali, nel pieno inasprimento del regime. Sono questi gli anni in cui la polizia segreta (OVRA) è nel pieno della sua espressione, è questo il periodo della delazione contro antifascisti, ebrei e omossessuali, del duro contrasto alla satira e all’ironia. Di fronte a questo, andare a raccontare un mondo interno a questa situazione politica è molto doloroso: io ti dico che sono molto felice di aver scritto questo romanzo per diversi motivi. Il primo è che Ricciardi ha una scrittura impegnativa, necessita di ricerche approfondite. Non c’è una sola parola che io scrivo e che non sia controllata e documentata. E poi, “Caminito” è il primo Ricciardi senza Enrica. Enrica c’era nella prima pagina del primo romanzo di Ricciardi e ci è stata per dodici romanzi. Scrivere un romanzo senza di lei era complicato, ma devo dire che sono felicissimo del risultato perché Enrica c’è in ogni componente. Ai lettori spetterà decidere se “Caminito” si innesta nella serie di Ricciardi, o se ne apre una nuova.

La musica e la parola hanno una relazione stretta nei suoi romanzi e in Ricciardi in particolare. Funge, dunque da colonna sonora, da colonna portante o da fonte di ispirazione?
La musica è un cardine della cultura popolare a Napoli. Non è possibile parlare di cultura napoletana senza prendere in esame il discorso musicale. Questo vale fin dal 1600, il lavoro di De Simone è assolutamente emblematico di questo, ci sono stati anni in cui la musica era il linguaggio popolare per eccellenza; parlo degli anni ’20, ’30, ’40. Dopo abbiamo avuto Peppino Di Capri, Fred Bongusto, fino a Pino Daniele, la NCCP e -per arrivare ai giorni nostri- a la Maschera, i Foja, gli Almamegretta, 99 Posse, Maldestro. Sono fantastici e hanno raccontato la città in musica. Trovo necessaria la musica in Ricciardi, perché senza la colonna sonora di quegli anni il lettore contemporaneo potrebbe fare fatica ad entrare nel contesto.

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