C’è del marcio nella lingua danese? di Grazia Mirabelli

22 Aprile 2023
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C’è del marcio nella lingua danese?
L’incontro tra lingue differenti mette in discussione chi siamo e come ci approcciamo agli altri
di Grazia Mirabelli

Abbiamo incontrato Fabio Trecca, psicologo del linguaggio ed autore di numerosi studi, anche sulla lingua danese. Il poter raccogliere un suo parere sui vari aspetti legati a questo tema ci attrae molto e ci consente di capire meglio il perché delle tante difficoltà che la lingua danese presenta per noi italiani.

“Sin da bambino sono stato affascinato da lingue e culture straniere. Quando, ormai più di una più di una decina d’anni fa, mi sono trasferito in Danimarca per studiare all’Università di Copenaghen, mi sono subito iscritto a un corso di lingua danese, pur non sapendo se sarei rimasto dopo il termine dei miei studi. Per due anni ho seguito corsi settimanali alla Studieskolen di Copenaghen, dove ho imparato le basi della lingua sotto la guida di insegnanti molto competenti. Ma la mia realtà quotidiana si svolgeva in inglese, tra studio e attività sociali; dunque, le occasioni per praticare il danese erano scarse, e quello che avevo imparato a scuola era principalmente relegato a conoscenza passiva. Finiti gli studi — e guidato sia da un desiderio di integrarmi con la gente del posto, sia da una crescente consapevolezza che sarei rimasto in Danimarca ancora per un po’ — mi sono imposto di farmi coraggio e usare il danese in un contesto lavorativo. Lì, grazie alla pazienza e perseveranza dei miei colleghi, e a costo di parecchie incomprensioni più o meno importanti, ho gradualmente imparato a parlare il danese in modo fluido. La vera differenza l’ha poi fatta la mia compagna prima, moglie poi, che ha accettato e pian piano colmato le mie lacune linguistiche. Ora siamo una famiglia bilingue italo-danese, con una mor e un papà. La morale della storia è che il linguaggio è uno strumento intrinsecamente sociale e che l’adulto, proprio come il bambino, impara la lingua nello scambio continuo con le persone che gli sono attorno”.

“La lingua è al tempo stesso identità e strumento sociale. L’incontro tra lingue differenti mette in discussione chi siamo e come ci approcciamo agli altri, da bambini ma specialmente in età adulta, quando predisposizione e motivazione all’apprendimento di una lingua straniera si riducono.

Mi metto nei panni delle famiglie italiane, con figli al seguito, che cominciano una nuova vita in territorio danese. Se l’integrarsi in un paese straniero è sempre un’impresa ardua, deve necessariamente esserlo ancora di più al cospetto di una lingua ostica e spesso intransigente come il danese, che tende a lasciare poco spazio a errori e peculiarità dovute alla pronuncia non nativa.

Ricordo ancora il mio primissimo incontro con la lingua danese, più di dieci anni fa -continua Fabio- ero appena arrivato dall’Italia ed ero diretto in treno dall’aeroporto di Copenaghen verso il mio nuovo alloggio. Rimasi stupito nell’ascoltare il messaggio sintetico della speaker annunciare la prossima stazione; Københavns Hovedbanegård, stazione centrale, dei suoni farfugliati che per me, all’epoca, in nessun modo potevano essere ricondotti al nome scritto. Tanto da essermi addirittura convinto che ci fosse stato un errore nel sistema di altoparlanti!

Hvad siger du?
Quando si impara una lingua straniera si ricorre spesso a strategie metalinguistiche per capire i nostri interlocutori. In particolare, il contesto comunicativo diventa molto importante: qualsiasi indizio presente nel contesto visivo, in quello semantico, nel linguaggio non verbale del nostro interlocutore ecc. viene utilizzato, magari senza notarlo, per aumentare le nostre chance di capire cosa ci viene detto. Si parla più forte, si gesticola di più, e così via. La questione interessante è che questo problema sembra riguardare anche i danesi nella loro stessa madrelingua! In uno studio recente, il nostro gruppo di ricerca ha osservato che adulti di madrelingua danese danno più peso all’informazione contestuale e metalinguistica, rispetto ad adulti di madrelingua norvegese. Nel caso di suoni poco distinti, o in presenza di rumore, i danesi sembrano quasi “tirare a indovinare” cosa l’interlocutore intende, sulla base di ciò che si aspettano dato il contesto conversazionale — in misura maggiore rispetto ai madrelingua norvegesi.

Il danese è una lingua che definirei minimalista: racchiude molto significato in un numero ridotto di unità linguistiche -continua Fabio- ne consegue che minuzie fonetiche, quasi impercettibili a un orecchio poco allenato, comportano differenze sostanziali a livello semantico. Ad esempio: le parole hun, pronome femminile di terza persona singolare, e hund, cane, si pronunciano allo stesso modo, se non per la presenza nella seconda di un cosiddetto colpo di glottide, praticamente inesistente nella lingua italiana e inavvertibile ai più. Per quanto semi-omofonie simili siano presenti in altre lingue, tra cui l’italiano (si pensi alla differenza tra pesca e pesca), queste sono pervadenti nella lingua danese. Al contrario di altre lingue scandinave come svedese e norvegese, con le quali la lingua danese condivide un antenato comune, quest’ultima è stata soggetta negli ultimi secoli a un drastico processo di riduzione fonetica a causa del quale la lingua ha sviluppato una pronuncia relativamente indistinta. All’orecchio straniero il danese parlato risulta particolarmente biascicato e monotono.
Un aneddoto, sostenuto dagli stessi madrelingua, vuole che i danesi “de taler som om de har en kartoffel i munden”. Questo è dovuto principalmente a un fenomeno linguistico per cui le consonanti vengono “ammorbidite” nella lingua parlata: allora spesso la g e la v diventano una u, la r viene attenuata o eliminata del tutto, e la d si riduce a un suono simile a una l molto gutturale. A causa di questa perdita di “durezza” di alcune consonanti, viene spesso a mancare l’alternanza tra consonanti e vocali tipica di molte altre lingue, tra cui l’italiano. E dunque il madrelingua danese tralascia sillabe qua e là e si mangia finali di parole, se non quasi parole intere. Fenomeni simili esistono in molte altre lingue, tra cui il francese e lo spagnolo, e in alcuni dialetti italiani come il romano e il napoletano. Ma i linguisti danesi sono concordi sul fatto che la riduzione fonetica del danese sia particolarmente estrema.

La lingua danese, difficoltà anche per i bambini madrelingua
Nelle lingue occidentali, basate sul sistema alfabetico, il bambino impara ad associare lettere a suoni, e in italiano, questo è piuttosto lineare e prevedibile, tranne rari casi. In altre lingue, come il danese, la corrispondenza lettera-suono è molto più complessa: alla stessa lettera corrispondono più suoni, allo stesso suono corrispondono più lettere, e la stessa lettera può pronunciarsi in modo diverso a seconda dell’influenza di lettere limitrofe e della propria posizione all’interno di una parola. Non sorprende dunque che l’apprendimento della lingua scritta e della lettura sia un’impresa più difficile in danese, contrassegnato da un’ortografia cosiddetta “profonda” rispetto al l’italiano, caratterizzato da un sistema di scrittura più “superficiale”. Il bambino italiano, approcciandosi alla lingua scritta, apprende un insieme di regole che gli consentiranno, con relativa facilità, di derivare la pronuncia di parole mai lette prima. La stessa prevedibilità e generalizzabilità non sono presenti nelle lingue a ortografia profonda. L’apprendimento di lettura e scrittura richiede più tempo per i bambini danesi, e i disturbi della capacità di leggere in modo fluente sembrano più frequenti.

Sorprende dunque poco il fatto che lo straniero che si approccia alla lingua danese parlata, trovi grandi difficoltà sia nel percepirne che nel riprodurne i suoni. A livello di percezione, il problema spesso risiede nel distinguere l’una dall’altra parole che tendono ad accavallarsi. Prendo ad esempio una prelibatezza locale, la røget ørred, cioè la trota affumicata: ognuna delle sei consonanti che la compongono perde la sua durezza, facendo sì che le due parole diventino effettivamente una lunga sequenza ininterrotta di suoni vocalici e gutturali.

Per via di queste caratteristiche fonologiche, il danese parlato è difficile da capire anche per gli svedesi e i norvegesi, seppure le tre lingue siano effettivamente omologhe in forma scritta (per via dell’antenato comune di cui sopra). Insieme a un gruppo di colleghi all’Università di Aarhus e all’Università della Danimarca Meridionale ho dimostrato che la pronuncia ostica del danese non affligge solo noi stranieri, ma anche gli stessi bambini danesi. In media, i bambini danesi in età prescolare sono leggermente più lenti nello sviluppo linguistico, principalmente lessicale e grammaticale, rispetto ai bambini con altre lingue madre come l’inglese, lo spagnolo e l’italiano, nonché proprio lo svedese e il norvegese. I nostri studi mostrano che questo lieve ritardo viene recuperato in età scolare, anche se al momento non sappiamo se questo lasci conseguenze a lungo termine.

Italiano, danese, quale delle due è più difficile?
Non voglio dare l’impressione errata che alcune lingue siano più difficili di altre. Lo sviluppo linguistico è complesso a prescindere dalla lingua di arrivo. Nella psicologia del linguaggio si è ipotizzato che la complessità di una lingua tenda a bilanciarsi internamente: una lingua può avere una fonologia molto complessa e una grammatica relativamente semplice, mentre un’altra lingua può avere una grammatica ricca di regole (ed eccezioni) e al tempo stesso una pronuncia più trasparente e facilmente riproducibile. Nel caso del danese la questione sembrerebbe particolarmente spinosa: l’apprendimento dei suoni è il primo stadio dello sviluppo linguistico; un processo che inizia addirittura in età prenatale. Una lingua dalla fonologia complessa e opaca pone il bambino di fronte a una curva di apprendimento molto ripida già nelle prime fasi della sua vita linguistica e comunicativa, rispetto a una lingua dalla fonologia più trasparente.
Non c’è accordo sul numero preciso, ma il danese parlato ha almeno il doppio delle vocali dell’italiano parlato. Si può facilmente immaginare come sottili differenze di pronuncia — ad esempio tra la prima vocale in abe, scimmia, e la prima vocale in and, papera — siano per l’adulto di madrelingua italiana complesse sia da identificare che da riprodurre. D’altra parte, il danese che approccia l’italiano come lingua straniera potrebbe essere avvantaggiato dal fatto che lievi errori di pronuncia non compromettono necessariamente la comprensione. In questo senso, l’italiano è una lingua più robusta del danese.

Per una persona adulta di madrelingua italiana, il modo migliore di approcciarsi all’apprendimento del danese come lingua straniera/seconda lingua è attraverso la lingua parlata prima, e la lingua scritta poi (mentre spesso si tende all’opposto). Baso questa asserzione più su dati autobiografici che scientifici. Collegare il danese scritto al danese orale ci aiuta a capire quali lettere sono pronunciate in modo prevedibile, quali sono soggette a riduzione, e quali sono omesse del tutto. Ad esempio: Åge bager en kage si pronuncia approssimativamente Óóebèaa(e)nkèié. Imparare la pronuncia e ricostruirne lo spelling in un secondo tempo ci rende più efficaci nella comunicazione orale. Il processo inverso — andare dalla lingua scritta a quella parlata — ci porta automaticamente a un’iperpronuncia della lingua scritta che spesso ci rende incomprensibili ai danesi.
Noi italiani, in fondo, siamo abituati a pronunciare tutte le lettere che leggiamo, o quasi…

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Nato e cresciuto a Roma, Fabio Trecca, Primo ricercatore presso l’Università di Aarhus, per motivi di studio decide nel 2009 di venire a Copenaghen dove, attratto dai tanti aspetti positivi del Paese, al completamento degli studi, sceglie di stabilirsi. Oggi Fabio vive a Odense con la moglie Sofie e con le loro due bimbe.
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