È la forza della musica che emoziona, coinvolge, aggrega
A cura di Grazia Mirabelli
Aida, capolavoro di Giuseppe Verdi è in cartellone ad Opera House dal 2 marzo al 30 aprile prossimo. Angelo Smimmo, coreografo e regista associato, ci racconta cosa c’è dietro una rappresentazione così colossale, realizzata in una cornice tanto prestigiosa
Parlaci di te, di come nasci, di come sei arrivato a portare in giro per il mondo la tua passione
Sono nato a San Giorgio a Cremano, non lontano da Napoli dove già a 17 anni scalpitavo perché per natura mi annoio subito, avevo sete di vita, di nuove sfide. Avevo appena iniziato a danzare quando, di nascosto dai miei che non volevano, entrai in una compagnia di Roma, lavorando nei fine settimana. In quel periodo andai a vedere uno spettacolo di Maurice Béjart, che all’epoca non sapevo neppure chi fosse, e m’innamorai perdutamente del suo lavoro.
Così gli scrissi una lettera, indirizzata semplicemente a Maurice Béjart – Losanna, ma mi chiamò e mi invitò a ballare per lui a Berlino. Da allora Maurice è stato il mio maestro fino alla sua morte, a partire proprio da Losanna, nella scuola in cui si prendeva cura di 10 ragazze e 10 ragazzi da tutto il mondo. Una formazione fondamentale per me, tre anni di istruzione globale e gratuita dove l’universo musicale veniva mescolato tra lirico, teatrale e coreografico, mettendo in evidenza le qualità individuali dei solisti e dove ho avuto l’opportunità di cominciare a cantare da controtenore. Più tardi, a Napoli, ho incontrato per caso Roberto De Simone che mi ha fatto appassionare al canto ed è iniziata così la mia carriera da cantante d’opera, ho fatto tra l’altro l’Opera buffa e La gatta Cenerentola, per me, napoletano, il canto era una forma naturale ed espressiva perché a casa mia cantano tutti. Ma dopo diversi anni in quel mondo come cantante mi mancava molto danzare e sono tornato al teatro danza entrando nella compagnia di Lindsay Kemp, ballerino e coreografo, ritornando a lavorare sul corpo, per me cosa molto importante, sempre continuando con il canto. Arrivato in Inghilterra, ed entrato nella compagnia teatro-danza Fabulous Beast Dance Company, mi sono esibito al Covent Garden dove casualmente, avendo un periodo libero e anche se non m’interessava molto, ho accettato un ruolo come danzatore d’opera e al termine di quella produzione il teatro mi ha chiesto di prendermi cura di quell’opera e di portarla al teatro di Roma.
Da lì mi si è aperto un mondo nuovo, ho cominciato a fare coreografie per l’opera ed ho sempre creato i miei spettacoli, perché sono un animo irrequieto e fin da bambino amavo creare. Dalla coreografia alla regia delle opere il passo è stato breve e così arriviamo fino ad oggi.
Da artista italiano cosa rappresenta per te la musica?
Considero un privilegio essere nato in un Paese dove c’è tanta arte. Ma la musica ha un linguaggio universale, non ha confini, non ha nazioni, è un’espressione che unisce, una necessità eterna che non morirà mai.
La storia ci insegna che senza la musica e senza l’arte l’essere umano non è nulla, perché poi alla fine, nonostante i cambiamenti, le epoche diverse e le guerre, la musica è sempre lì, viva.
Come persone, siamo tutti portatori di qualcosa di speciale, ciascuno di noi con il proprio vissuto, il luogo dove siamo cresciuti, ciò che abbiamo mangiato, la lingua che abbiamo parlato, non abbiamo bisogno di mettere insieme queste peculiarità sotto una bandiera che crea le differenze, per questo sono sempre molto attento al discorso del nazionalismo che crea spesso divisione. Siamo quello che siamo comunque, e sarebbe bello riuscire a dimenticare quelle differenze, a rispettarci, a volerci solo per quello che siamo. E la musica è capace di fare proprio questo, perché non ha paura della perdita di un’identità, perché non ha confini, non ha barriere, è di tutti e arriva a tutti allo stesso modo.
Circa dieci anni fa abbiamo creato con quattro colleghi artisti, diretti da un coreografo-regista sudafricano/portoghese, uno degli spettacoli a cui tengo molto e che gira con successo nel mondo. Si tratta di una rivisitazione de “La piccola fiammiferaia” di Hans Christian Andersen, ed è capace di esprimere proprio questa universalità, e lo fa attraverso una contaminazione tra l’autore danese e i testi in inglese, ma raccontando del Natale napoletano con i suoi forti simboli, tra cui il casatiello e il capitone, sempre restando fedele alla storia originale della piccola fiammiferaia. Chissà se un giorno potremo portarla in scena qui, sarebbe veramente un piacere fare incrociare tante diverse sensibilità in un luogo come questo!
Nell’italiano moderno operare vuole dire fare, creare, costruire, per te cosa vuol dire e come approcci i tuoi personaggi?
Quello del regista o del coreografo è un lavoro da artigiano. Quando mi chiedono di fare ad esempio un’Aida la prima cosa che faccio, avido di sapere, mi scopro la vita di Giuseppe Verdi, tutto quello che ha fatto, quando è nato, chi ha amato, chi non ha amato, chi l’ha odiato, la politica del tempo, che cosa ha vissuto, poi mi leggo il testo, poi scruto le note per arrivare a capire che cosa volesse dire e perché.
Che cos’è l’opera di Aida? Parla di divisione, parla di popoli in guerra, di un amore e una sessualità negata dalla chiesa. E cosa è più attuale? Abbiamo bisogno degli elefanti e le piramidi per raccontarlo? No, secondo me un buon artista, un buon regista, un buon coreografo va oltre quello che legge, deve andare a vedere perché Verdi ha scritto quelle cose, che cosa gli stava succedendo. Ad esempio, il suo amore per Giuseppina, negato dalla Chiesa e condannato dall’odio e dalla repulsione di tutto il paese perché non erano sposati e che li costrinse a nascondersi per tutta la vita. La sua è la storia di Aida, la storia di Ramfis che non permette ad Amneris una sessualità, è la storia di un amore negato, dì un uomo conteso da due donne sullo sfondo di nazioni in guerra.
Gli artisti con i quali lavoro sono tutti diversi tra loro e il momento più creativo è quello di stabilire con loro una relazione, capire come utilizzare il dono che hanno e tirare fuori il meglio dalla persona che hai di fronte per dire quello che vuoi dire. Una persona lo dice in un modo, un’altra può dirlo in un altro, il mio lavoro è aiutarli a comunicare quello che voglio sia detto nel migliore dei modi, ci sono persone molto più spontanee, altre più a proprio agio con il loro corpo e la loro gestualità. Ed è per questo che ciascuna Aida, così come ogni Radames, è assolutamente unica e diversa da ogni altra.
Spaziare come fai tu tra tante diverse percezioni dell’arte…come sarebbe giusto definirti, coreografo, danzatore, forse regista? Il pubblico come ti percepisce?
Ma io resto un artigiano dell’arte, ho sempre combattuto le etichette, odio i titoli, non mi piace inquadrarmi in qualcosa. Io sono felice quando ballo, adoro cantare, adoro fare regia e adoro fare coreografia, incontrare le persone e creare momenti belli per il pubblico, per me stesso, per le persone che incontro. Qui, per esempio, questa Opera House è straordinaria, sono tutte persone speciali, dal team creativo, all’amministrazione, ai tecnici, al coro, sono persone sensibili, che hanno tanta voglia di cose nuove, sono persone aperte ed io senza di loro non sarei nulla, e così tra noi diventa uno scambio da cui io per primo sento di imparare tantissimo.
Guardi Aida e pensi: come posso raccontarla al pubblico di oggi che è un pubblico universale, non importa se siamo a Copenaghen o a Londra, come la racconti questa tematica che è di sempre ed è per tutti, l’amore negato, la guerra tra i paesi, un tema che si ripropone. E allora come la rileggo? Come posso far sì che un’arte così importante come la musica non muoia mai regalandole eternità? Gli artisti devono trovare il modo giusto per portare avanti questo dono, perché io penso che la musica sia un dono, il dono della bellezza. Come si fa ad approcciare un pubblico del 2023, ad una cosa da cui si aliena sempre di più, la cui gioventù così veloce e rapida regala un’attenzione brevissima, come facciamo a tenerli seduti per due ore facendoli ascoltare, come si fa? È quello il lavoro dell’artigiano, riuscire a capire il come farlo, anche lavorando sulla trama, sull’ambientazione, io amo ad esempio il lavoro sul Barocco, mi piace molto perché è morbido e malleabile, permette di ristrutturare, cambiare, riadattare alla visione del mondo che ha il pubblico attuale, che va coinvolto senza che si renda neanche conto che ha ascoltato opera, che ha ascoltato barocco o Verdi, e tu nel frattempo cosa hai fatto? Gli hai donato bellezza, li hai nutriti di quella cosa meravigliosa che è la musica.
Tutto questo il pubblico lo percepisce, non c’è un pubblico danese o un pubblico italiano, c’è un pubblico dal cuore aperto e disponibile oppure no, indipendentemente da dove siamo e che solamente per motivi culturali può reagire in maniera più vivace ed espansiva, come ad esempio gli italiani, oppure più riservata anche se ugualmente calorosa.
Ricordo di avere ricevuto un messaggio dopo una rappresentazione a Macao, dove il pubblico sembrava molto distratto, da parte di una mamma che mi diceva: -Per favore non smettete mai di cantare e di tornare qui, abbiamo bisogno della vostra arte e della vostra musica-. Quello mi ha ricordato ancora una volta che anche se ci fosse una sola persona ad apprezzare, tra le tremila che ti guardano, vale sempre la pena esibirsi perché è per questo che noi lo facciamo, perché la musica serve a questo, a farci connettere tra di noi, con l’esterno e con la bellezza della vita.
Angelo Smimmo ha colto in pieno l’essenza di coloro che ammirano il suo lavoro in giro per il mondo, che vengono trascinati dalle sue messe in scena in cui persone e personaggi si mescolano allo spirito di cui lui stesso li ha animati, in cui li ha magistralmente coinvolti, mescolandoli con eleganza alle sue coreografie.
E la sera della prima un entusiasta e caloroso pubblico di Copenaghen lo dimostra, con i diversi minuti di applausi che si protraggono, tutti dedicati a un palcoscenico esultante e fiero che raccoglie artisti internazionali accomunati dallo stesso talento e dalla stessa magia da regalare al suo pubblico.