Calvino, il visionario di nome Italo compie 100 anni di Monica Lucignano

28 Luglio 2023
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Calvino, il visionario di nome Italo compie 100 anni
di Monica Lucignano

Un intellettuale di formazione internazionale, un narratore che ha dato al mondo pagine ricche di ironia, di provocazioni e di spunti di riflessione, un uomo che ha vissuto il Fascismo per poi unirsi ai partigiani, un anarchico, un consulente editoriale: Italo Calvino è stato questo ma, evidentemente, nelle sue pagine c’è molto altro, visto che è –a tutt’oggi- uno scrittore molto rinomato e che vanta traduzioni in ben 46 lingue, tra cui il danese.

Il rapporto di Italo Calvino con i traduttori non fu mai scorrevole. L’autore, infatti, padroneggiava il francese e lo spagnolo avendo vissuto per diversi anni a New York e avuto la fortuna di incontrare e frequentare numerosi uomini di cultura a lui coevi. Spesso rimaneggiava le traduzioni dei suoi scritti affinché non si perdesse lo spirito, il senso, il ritmo della frase del testo in lingua originale.

Deve essere riuscito nell’intento di preservare questo e le tematiche che in certe opere risultano essere addirittura profetiche: basti
Deve essere riuscito nell’intento di preservare questo e le tematiche pensare alla narrazione de “Il cavaliere inesistente” del 1959, in cui molti studiosi hanno ravvisato la rappresentazione del robot. Eppure, quest’opera si inscrive nella trilogia intitolata “I nostri antenati”, di cui fanno parte “Il visconte dimezzato” (1952) e “Il barone rampante” (1957), riduttivamente considerati letteratura per ragazzi.

Calvino, in virtù di una formazione culturale e personale di indiscusso spessore, è stato uno scrittore serio ma mai serioso, che ha potuto concedersi il lusso di giocare con i generi letterari, nascondendo tra i righi dei suoi scritti, delle verità gravose per l’uomo contemporaneo attraverso la cifra stilistica dell’umorismo poetico e fantastico. Ha utilizzato delle immagini semplici e le ha portate alle estreme conseguenze: Cosimo (protagonista de “Il barone rampante”) scappa a vivere tra gli alberi e non ne scenderà mai più, Medardo (“Il visconte dimezzato”) verrà diviso in due metà da un colpo di cannone continuando a vivere e Agilulfo “Il cavaliere inesistente”) è un’armatura vuota animata dalla sola volontà.

Eppure, queste avventure scritte –apparentemente- per gioco finiscono per complicarsi, come sempre accade nell’intreccio delle fiabe, e il romanzo di formazione diventa quasi un racconto filosofico, il genere cavalleresco è il mezzo per porre l’accento sul tema dell’uomo artificiale, del suo mancato rapporto con la realtà che lo circonda, della sua incapacità di realizzarsi pienamente, senza andare a discapito di una parte o dell’altra del suo essere.

Il visconte Medardo, infatti, sarà –lungo tutto l’arco della narrazione- diviso in Il Gramo e il Buono, e, scisso in queste due entità antitetiche, vivrà una storia d’amore e vesserà i suoi sottoposti fino all’acme della vicenda, quando il dottor Trelawney riuscirà a ricucire le due parti e a fare di Medardo un uomo saggio e riflessivo. Questo happy end, però, non sarà una caratteristica costante della trilogia araldica; anche il barone Cosimo, saltando da un ramo all’altro, vivrà un’unica, splendida storia d’amore che però non verrà coronata dall’unione con Viola, eppure nella sua scelta –che diviene via via più matura e consapevole (tanto da essere condivisa anche dalla colonia di nobili spagnoli di Oliva Bassa, pur se con motivazioni diverse)- Cosimo riesce a riappacificarsi con il padre, che gli regala la sua spada per suggellare il passaggio della baronia al compimento della maggiore età. Un orgoglio silenzioso anima il vecchio barone, venuto a conoscenza che quel figlio strambo, pur non volendo scendere dagli alberi, riesce a governare i territori della famiglia e a tutelarli (per esempio, attraverso l’istituzione di un rudimentale corpo dei vigili del fuoco). Cosimo resta coerente con la decisione di non toccare più terra; vecchio e provato, decide, infatti, di aggrapparsi ad una mongolfiera di passaggio e lascerà la presa solo quando sotto di sé comparirà l’immensa distesa del mare.

Infine, la vicenda di Agilulfo, il cavaliere inesistente; intricata, ricca di colpi di scena, è un testo che potrebbe essere paragonato ad una serie tv. I buoni non sono sempre buoni, gli eroi sembrano sciocchi e vanesi in certi momenti e la vicenda è costellata di amori infelici che creano un effetto domino, una gran confusione fino a sfiorare il rischio di un amore incestuoso. Se l’amore non manca, in questo testo, è però vero che l’amarezza per la sparizione di Agilulfo lascia al lettore più domande che risposte. Accettare il postulato che un’armatura venga retta solo dalla volontà è già difficile, ma la sfida che Calvino lancia al suo lettore è anche più ardua: quando, per una serie di equivoci non chiariti, Agilulfo ritiene di non essere degno della bianca armatura che indossa (e che lo definisce), decide di cederla a Rambaldo e si dissolve nel nulla. Agilulfo è, dunque, l’emblema dell’uomo moderno in crisi con sé stesso, con la propria identità. Solo il suo ruolo (l’armatura) lo definisce e, una volta privatosene, egli perde ogni punto di riferimento, ogni sicurezza e si smarrisce.

In conclusione, a 100 anni dalla nascita di uno dei più grandi autori del Novecento (avvenuta a Cuba il 15 ottobre), ricorrenza giustamente celebrata con numerose iniziative –e non solo in Italia- ci sembra giusto rispolverare questi grandi classici, e leggerli insieme, grandi e piccini.

Pur di non li considerarli solo letteratura per ragazzi!

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