Passionali? Eterni adolescenti? Indolenti e creativi? Come sono visti gli italiani all’estero? Barbara Serra, di recente a Copenaghen, ne parla attraverso la sua esperienza di giornalista e corrispondente italiana all’estero
Bella, sorridente e scherzosa, Barbara Serra ha tenuto all’Istituto Italiano di Cultura a Copenaghen, insieme a Luca Vullo, un incontro sull’emigrazione italiana nei Paesi nord europei, presentando il suo libro ”Gli italiani non sono pigri”, edito da Garzanti. La giornalista italiana, è conduttrice della redazione di Londra di Al Jazeera English e collaboratrice della RAI, ed ha alle spalle un’esperienza professionale con la BBC, Sky News, Five News. Milanese di famiglia sardo/sicula, è cresciuta a Copenaghen e, trasferitasi a Londra nel 1993, ha studiato alla London School of Economics prima di avviarsi alla carriera giornalistica. Il saggio riflette l’infanzia in Italia, l’adolescenza in Danimarca- ricordata affettuosamente- la vita adulta affettiva e professionale nel mondo anglosassone e arabo. Il tema è una riflessione sugli stereotipi culturali. Ne cogliamo alcuni spunti. Come nasce questo libro. “Questo libro nasce da un litigio. O meglio, da vari litigi. Qualche volta al pub; più spesso durante una cena; sempre in taxi. Interlocutori tutti anglosassoni. I britannici, o altri popoli del Nord, (spesso) ci accusano di essere pigri e indebitati. Noi italiani avremo pure i nostri difetti. Ma non possiamo permetterci, letteralmente, di avere tra questi la pigrizia (anche perché non disponiamo di una rete di protezione sociale come nei paesi del nord d’Europa). I luoghi comuni sull’indole italiana. Ecco una piccola lista a caso. La pausa pranzo. Lavoro come giornalista dal 1999. Da allora credo di aver mangiato in mensa sì e no una ventina di volte…Eppure ogni sei mesi c’è sempre qualche simpaticone che dice “Ma come Barbara, da un’italiana come te ci aspettavamo almeno due ore di pausa pranzo…e altre due di siesta! La puntualità. Ahi ahi…in questo hanno ragione a criticarci. Non c’è molto da dire: se la riunione inizia alle tre, inizia alle tre. Non alle tre e dieci. Sicuramente non alle tre e un quarto. La mamma. Lo stereotipo degli Italian Mamma’s Boys-i ragazzi mammoni-tiene duro. La passione. La vanità. La mafia, o, più genericamente, il nostro atteggiamento verso le leggi e le regole. L’idea che a volte bariamo. La pigrizia. Ecco il vero jolly. “
”Insomma, vi immaginate chiedere ad un italiano di lavorare dieci ore al giorno, sei giorni alla settimana?” commenta, a proposito della crisi dell’Euro, una nota giornalista anglosassone. Gli italiani non amano il lavoro? Secondo Vittorio Colao- unico amministratore delegato italiano di FTSE 100, l’indice delle cento aziende più capitalizzate del Regno Unito-” gli italiani lavorano tantissimo, come numero di ore e come massa d’impegno…forse più di quanto gli stranieri si aspettano. Quindi non è un problema di quantità di lavoro. Abbiamo inoltre una capacità di unire l’ambito personale con quello lavorativo, simile per esempio a quella degli indiani, ma di gran lunga superiore a quella dei paesi anglosassoni, dove c’è una divisione molto più netta tra I due ambiti. Ma ci sono due cose che rendono lavorare in Italia più difficile. Una è il continuo riaggiustamento delle priorità, degli appuntamenti, del modo di lavorare in funzione non dell’obiettivo, ma dell’importanza dell’interlocutore. La seconda è che siamo lunghi ed elaborati. Siamo intrisi di una cultura classica e verbosa. A volte il
nostro stile di lavoro compromette l’efficienza. Nerio Alessandri (presidente di Technogym, fornitore ufficiale dei Giochi Olimpici) afferma “il problema dell’Italia è essenzialmente culturale. È un Sistema molto autoreferenziale, individualista, in cui manca il gioco di squadra. Il Sistema-paese non è organizzato in modo che si possa vincere insieme”. Tuttavia ci sono “…creatività, innovazione, gente che lavora molto. Ci sono tanti imprenditori, tanti cittadini che dopo la Guerra, negli anni Sessanta, Settanta, Ottanta, hanno fatto cose importanti” continua Alessandri.” Se gli italiani sapessero valorizzare il loro DNA in termini di energia, entusiasmo, creatività, passione, calore, avremmo delle chance incredibili”.
Creatività, calore umano. Questi aspetti di un’ipotetica indole italiana hanno successo all’estero? Noi italiani veniamo associati a quanto c’è di più bello nella vita. Vista con occhio anglosassone, l’Italia è sinonimo di passione e sentimento. L’ispirazione poetica di Byron, Shelley e Keats…E ancora: ottimo cibo, tempo mite, uno straordinario patrimonio naturale e artistico…l’Italia è molto amata e conosciuta nel mondo. È la bellezza del paese ciò che gli stranieri apprezzano. La storia, la cultura e uno stile di vita che premia l’umanità, la famiglia, gli affetti, l’eleganza, l’amore.
E le donne italiane? Gli stereotipi sulle donne italiane sono quasi tutti positivi. In generale siamo viste come affascinanti, eleganti e passionali. Spesso non me la sento di rifiutare uno stereotipo così lusinghiero…soprattutto sapendo che gli ostacoli affrontati dalle italiane nella vita quotidiana sono più numerosi e insidiosi di quelli che incontrano le donne nordiche. Una ricerca condotta dalla Camera di Commercio di Milano rivela come la donna italiana faccia tante cose tra casa, bimbi e lavoro che in effetti le sue giornate dovrebbero durare ventisette ore. La frase più bella e memorabile che ho raccolto durante le interviste di questo libro me l’ha detta Fabiola Gianotti, fisica e capo progetto del CERN di Ginevra. Ha parlato del “genio sregolato” degli italiani” forse siamo un po’ più sregolati negli orari, magari lavoriamo fino a notte fonda e poi iniziamo tardi la mattina. Ma per me la sregolatezza è un di più, di certo non vuol dire inaffidabilità o noncuranza. Al contrario, magari dare meno importanza a quei dettagli della vita di tutti I giorni che poi forse non sono così importanti. Ci sono cose più importanti come avere le idee giuste e saperle condurre a buon fine.